lunedì 17 ottobre 2011

Immanuel Kant "per la pace perpetua" (Jean Jacques Russeau, Jeremy Bentham)

Conseguire la pace era uno dei progetti più importanti del programma dell'Illuminismo, così filosofi, pensatori, uomini più o meno semplici o "famosi" scrissero progetti di pace, senza scoraggiarsi di fronte al potere sovrano, né di fronte all'insensatezza delle guerre alle quali assistevano impotenti come testimoni e come vittime. Così, come si erano create delle istituzioni interne agli stati per regolare i conflitti tra individui e farli uscire da un'ideale stato di natura, non si poteva porre fine alle guerre creando un'istituzione internazionale finalizzata a risolvere le guerre con l'arbitrato?

Alcuni fra i maggiori filosofi del Settecento, come Jean Jacques Russeau, Jeremy Bentham e soprattutto Immanuel Kant, affrontarono il problema con il desiderio di sottrarre ai monarchi il potere assoluto sulla guerra e sulla pace. I pacifisti furono chiamati visionari, utopisti, addirittura ridicoli. Eppure le organizzazioni internazionali di oggi dalle Nazioni Unite, alla Corte internazionale di Giustizia, al Parlamento Europeo, sono già delineate nei progetti di questi filosofi come la prospettiva di una guerra nucleare, aperta proprio da quelle micidiali esplosioni dei giorni 6 e 9 agosto del 1945 di Hiroshima e Nagasaki che comportarono la morte immediata di decine di migliaia di persone e terribili piaghe, contaminazioni e menomazioni dei pochi sopravvissuti, le cui conseguenze si riscontrano addirittura oggi, ci si pone il problema:

E' utopistico parlare di un progetto di pace perpetua?

Come scrive Bobbio: ("Il problema della guerra e le vie della pace" pagg.26-27)

<<O gli uomini riusciranno a risolvere i loro conflitti senza ricorrere alla violenza, in particolare a quella violenza collettiva e organizzata che è la guerra, sia esterna che interna, o la violenza li cancellerà dalla faccia della terra>>

Dacchè <<Il tempo in cui viviamo rende possibile all'utopia di appropriarsi dei severi argomenti, e al realismo, pena la negazione di se stesso, di integrare in se le ragioni dell'utopia>> (E.Balducci-L.Grassi "La pace realismo di un'utopia". Testi e documenti). E' dunque necessario utilizzare la ragione, un processo razionale che scaturito da una precisa intenzione morale costruisca un percorso programmatico che porti alla pace, una pace perpetua.

Perpetua poiché se così non fosse, questa pace sarebbe solo un armistizio, una tregua, una sospensione temporanea dell'ostilità basata sulla sottomissione, sul rancore, sul desiderio di vendetta e sulla diffidenza dei vinti per dei vincitori che monopolizzano il potere: non pace, che significa la fine di ogni ostilità, al di là della cosi detta politica d'equilibrio che ha in qualche modo garantito negli ultimi 2 secoli periodi più o meno lunghi di pace sfociati in terribili conflitti.

Il progetto di Kant impregnato di idee giusnaturalistiche procede da un ideale stato di natura, estendendo l'analisi di Hobbes dai rapporti individuali a quelli tra i popoli.La natura ha obbligato la specie umana alla convivenza ravvicinata su uno stesso pianeta, la Terra, e ha fatto sì che gli uomini sia a livello interpersonale sia a livello "internazionale" entrassero in conflitto. Come l'antagonismo dell' "homo homini lupus" e del "bellum omnium contra omnes", ha spinto gli individui a fondare una comunità garantita da leggi naturali che sottraggono l'uomo allo spontaneo e autodistruttivo impulso degli istinti e ha imporgli una pubblica condotta e una disciplina, che spesso possono essere in contrasto con le private intenzioni di ciascuno, ma che procurano una relativa sicurezza e la possibilità di dedicarsi ad attività che rendano agevole la sua vita, così anche i popoli, alla ricerca del proprio tornaconto, possono giungere a desiderare l'equilibrio tra gli antagonismi e a gettare le fondamenta all'idea morale e razionale della realizzazione della pace.

Kant non si propone di fondare la pace sui buoni sentimenti, ma sulla natura e sulla stessa necessità naturale che spinge l'uomo in questa direzione indipendentemente dalla sua scelta libera e razionale. La natura non fa che favorire l'intenzione morale e quand'anche questa non ci fosse l'uomo farà ciò costretto dalla natura, senza che sia compromessa la libertà individuale, poiché questo impulso a risolvere lo stato di conflittualità dell'uomo è alla base del patto che porta alla formazione di uno stato retto da leggi e regole di convivenza (diritto pubblico interno), così come i rapporti fra stati (diritto internazionale) e il rapporto tra uno stato e i cittadini di un altro stato (diritto cosmopolitico). La natura viene in soccorso alla volontà generale servendosi delle stesse tendenze egoistiche, infatti come dice Kant <<Anche un popolo di diavoli ( purchè dotato di intelligenza) è spinto a costituirsi in uno stato [….]vale dunque l'assioma che la natura vuole irresistibilmente che il diritto finisca per trionfare>>.

Lo stato di pace quando è dovuto all'egoismo naturale si limita solo all'equilibrio tra le forze antagoniste, mentre diventa più solido e duraturo quando è frutto della presa di coscienza morale dei cittadini e dei sovrani. Infatti mentre Bentham sostenitore del liberalismo, vedeva la garanzia della pace nell'attività commerciale, per Kant questa costituisce solo una base empirica dell'idea di pace che può scaturire solo dalla ferma intenzione morale. Proprio perché la pace non può prescindere dal comando morale il progetto pacifista è realizzabile solo in modo tendenziale dal momento che gli uomini non agiscono solo in risposta al dovere della ragione. Sono dunque necessari al fine di fondare la società e costituire un patto per una pacifica convivenza tra gli uomini, non solo la naturale spinta della ragione ma anche gli interessi egoistici e personali dell’uomo quali lo spirito commerciale e la forza del denaro. Riguardo al così detto "pacifismo giuridico" ci si pone davanti il problema dell’estensione dei poteri che si devono attribuire all’organismo internazionale e del tipo di vincolo che si deve instaurare tra gli stati aderenti, punto che non si è ancora riusciti chiaramente a definire nemmeno oggi, quando oltretutto l’ONU opera già da 50 anni. Soprattutto la composizione ed il funzionamento del Consiglio di Sicurezza appaiono in netto contrasto con il conclamato principio della parità a cui lo statuto dell'ONU afferma fermamente di ispirarsi. In esso è previsto il diritto dei 5 stati che ne fanno parte in modo permanente, di indirizzare l’azione dell’Organizzazione, bloccando, valendosi del diritto di veto, ogni iniziativa che talora contrasti con il loro programma e di annullare, con la semplice opposizione di un membro certe risoluzioni approvate a larga maggioranza. Il Consiglio di Sicurezza è inoltre riunito in maniera permanente, mentre l’Assemblea Generale, convocata in sessione annuale, ha un’importanza più rappresentativa che concreta sul piano delle decisioni politiche.

L’istituzione internazionale proposta da Kant è rivolta a tutti gli stati del Mondo che vi devono aderire liberamente, con una scelta consapevole e non imposta dall’esterno. Kant inoltre auspica una "Federazione di popoli che non deve essere uno Stato di popoli. In ciò infatti vi sarebbe una contraddizione, poiché ogni stato implica un rapporto di un superiore (legislatore) con un inferiore (colui che obbedisce cioè il popolo) [….]" e ciò porterebbe alla cancellazione dei singoli stati sotto il dominio di uno stato sovrano. "Da ciò deriva la necessità di un’associazione di natura speciale, che si può chiamare foedus pacificum (lega della pace) diversa da un pactum pacis in quanto quest’ultimo si propone semplicemente di porre fine ad una guerra, il primo invece si propone di porre fine a tutte le guerre per sempre". Kant sottolinea il fatto che di questa lega faccia parte almeno uno stato con una costituzione repubblicana. O meglio ancora afferma il nesso indiscindibile tra pace e libero sviluppo dell’uomo e rifiuta qualsiasi modello politico in cui i singoli cittadini debbano sottostare a delle decisioni dispotiche che in realtà non li rappresentano, in quanto anche se per Kant, uomo del suo tempo, la costituzione repubblicana non è l’antitesi della monarchia è tuttavia una forma di governo che deve rappresentare i cittadini, Questo perché sottraendo ai monarchi il potere decisionale assoluto sulla guerra e sulla pace, i cittadini penseranno bene prima di dare l’assenso per una guerra le cui calamità ricadranno sicuramente su di loro. "In una costituzione in cui il suddito non è cittadino e che pertanto non è repubblicana, la guerra è la cosa più facile del mondo poiché il sovrano non è membro di uno stato ma ne è proprietario [….] può quindi decidere la guerra alla stregua di una specie di partita di piacere per cause insignificanti e per salvare le apparenze, tranquillamente lasciare al corpo diplomatico, pronto in ogni tempo, il compito di giustificarli".

La politica è stata nei secoli caratterizzata e sottomessa alla "ragion di stato", in cui non pesavano gli interessi individuali, mentre Kant sostiene che è possibile uscire da questo situazione attraverso la ragione, che giudica se stessa e il suo passato e si assume la responsabilità della scelta. La politica deve subordinarsi alla morale e il politico deve agire collocando i principi della prudenza politica nello stesso orizzonte

della morale per realizzare una comunità politica internazionale.

I capisaldi, per così dire, di questo vero e proprio "decalogo" sono:

-No ai trattati bugiardi

-No alla violazione dei piccoli stati da parte dei più forti

-No agli eserciti permanenti

-No all’indebitamento con l’estero

-No alle ingerenze interne

-No all’uso di spie e di sicari

-Sì alla pubblicazione degli atti di governo

Quest’ultimo punto appare oggi particolarmente importante.

Kant indica infatti nella pubblicità degli atti politici e nella trasparenza di tutte le azioni che riguardano i cittadini la garanzia della moralità degli stati e dei sovrani. Ciò è sottinteso nello stato repubblicano di Kant dove il sovrano non può essere un monarca assoluto ed uno dei presupposti necessari per legittimare l’agire politico è la pubblicità degli atti. "Tutte le azioni relative al diritto di altri uomini, la cui massima non è compatibile con la pubblicità, sono ingiuste".

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