lunedì 28 febbraio 2011

Manchester City: Mario Balotelli diventa biondo

Domenica contro il Fulham, Balotelli si è presentato in campo con il
Manchester City con i capelli - pochi - biondi (Reuters)

Mario Balotelli - manchester city - diventa biondo (Olycom)2 Mario Balotelli - manchester city - diventa biondo (Olycom) Mario Balotelli - manchester city - diventa biondo2

Appello nazionale del movimento Primo Marzo 2011; "razzismo, ricatti e diritti"

Pubblichiamo il documento elaborato dai vari comitati territoriali che compongono il Primo Marzo riunitisi a Bologna lo scorso 13 febbraio.

Appello nazionale del movimento Primo Marzo

Insieme contro il razzismo,
contro i ricatti, per i diri di tutte e tutti…

Lo scorso Primo Marzo oltre 300mila persone si sono mobilitate in tutta Italia per dire no al razzismo, alla legge Bossi-Fini, al pacchetto sicurezza, ai CIE e sì a una società multiculturale e più giusta. In molte città lavoratori italiani e migranti hanno scelto di scioperare insieme, uniti dalla consapevolezza che il razzismo istituzionalizzato (in spregio alla nostra Costituzione oltre che al diritto internazionale e alla normativa europea), le politiche di esclusione, lo sfruttamento del lavoro, le violazioni dei diritti sono tasselli di un’unica strategia repressiva che, a partire dai più deboli e inermi, aspira a colpire tutti e a imporre la precarietà come orizzonte di vita.
Migranti e italiani hanno affermato in questo modo un’idea di sciopero diversa da quella dominante (non uno strumento di protesta nelle mani dei sindacati ma un diritto costituzionale, individuale e inalienabile), hanno dimostrato che è possibile unirsi e prendere l'iniziativa dal basso per reagire ai ricatti. Hanno superato nei fatti la contrapposizione tra autoctoni e stranieri e inaugurato una stagione di impegno e di lotta, di rifiuto dei ricatti e dello sfruttamento, passata dallo sciopero delle rotonde in Campania alle occupazioni della gru e della torre a Brescia e Milano, da Pomigliano a Mirafiori, dalle mobilitazioni degli studenti allo sciopero dei metalmeccanici e marcata da manifestazioni antirazziste a Bologna, Firenze, Trieste e in tante altre città italiane.
La situazione italiana di oggi è diversa da quella di un anno fa e forse ancora più grave. Non c’è stata un’altra Rosarno, ma gli effetti della crisi si sentono sempre di più e colpiscono soprattutto i migranti: in migliaia rischiano di perdere il permesso di soggiorno, in migliaia che il permesso non lo hanno vengono indicati come criminali e condannati al lavoro nero gestito dai caporali. Per tutte e tutti vige il ricatto quotidiano del razzismo istituzionale. In questo quadro la Bossi-Fini (in particolare la sua pretesa di legare il permesso di soggiorno al contratto di lavoro con il “contratto di soggiorno”) si rivela più che mai come una legge inadeguata e ipocrita, che non combatte la clandestinità ma la crea, favorendo sfruttamento e lavoro nero e ponendo i migranti in una condizione di costante ricattabilità. Per oltre 50mila immigrati, vittime della sanatoria truffa, non è stata trovata ancora una soluzione. Nel frattempo il governo è tornato a lanciare la lotteria del decreto flussi che – come tutti sanno – funziona principalmente da sanatoria mascherata. La questione della cittadinanza rimane insoluta e centinaia di giovani nati o cresciuti in Italia continuano a sottostare a una legge che non riconosce loro diritti né cittadinanza. Le rivoluzioni di piazza che stanno attraversando il Nord Africa segnalano un’aspirazione alla libertà che ha nelle migrazioni una delle sue declinazioni e che sta portando a un prevedibile aumento degli sbarchi (per altro mai interrotti) sulle nostre coste: di fronte a tutto questo la risposta italiana si sta rivelando ipocrita e inadeguata: si evoca ancora una volta un inesistente “stato di emergenza” solo per non rispettare il diritto di asilo ed evitare di accogliere le persone che stanno arrivando sulle nostre coste. Ciò ci dice che mentre molti festeggiano senza problemi l’ondata di democrazia nel Nord Africa, le migrazioni uniscono le due sponde del Mediterraneo: nello spirito della Carta dei Migranti recentemente approvata a Gorée (Senegal), noi sappiamo che il problema della democrazia italiana sta anche a Tunisi, così come quello della Tunisia è anche a Roma o a Parigi. Mentre si lotta per la democrazia in Nord Africa, non possiamo accettare la logica razzista dell’”aiutiamoli a casa loro”, perché i migranti ci dicono che si lotta anche per muoversi e cambiare le proprie condizioni di vita. È quello che insieme vogliamo fare il 1 marzo.
In questo quadro i migranti sono ancora di più una forza. Per ragioni economiche, come molte volte è stato sottolineato: producono infatti una parte consistente del PIL (11%), alimentano le casse dello Stato con le tasse e i contributi previdenziali, sopperiscono con il lavoro di cura alle carenze strutturali del welfare italiano. Ma anche per ragioni sociali e culturali: rappresentano infatti una parte attiva e determinante nella costruzione di una società diversa: più ricca, variegata, multiculturale e capace di guardare al futuro. Senza di loro, senza i bambini figli di migranti e coppie miste, l’Italia sarebbe oggi una nazione destinata ad estinguersi. Soprattutto, i migranti sono una forza politica per costruire una società diversa, per non limitarsi a difendere i diritti ma reagire ai ricatti conquistandone di nuovi.
Per questo lanciamo un appello per costruire il prossimo primo marzo una nuova grande giornata di sciopero e mobilitazione per i migranti e con i migranti. Ma, lo sottoliniamo con forza, non si tratta di uno sciopero etnico: non è mai esistita e non esiste l’idea di uno sciopero etnico. In diversi territori sono già attivi percorsi che comprendono scioperi, presidi e manifestazioni. Crediamo che lo strumento dello sciopero sia il modo più forte per portare avanti questa lotta, migranti e italiani insieme contro i ricatti, contro il razzismo, contro lo sfruttamento e per chiedere:

- l’abrogazione della Bossi-Fini e, in particolare, del nesso tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno (“contratto di soggiorno”);

- per contrastare il lavoro nero e lo sfruttamento dei lavoratori migranti: rivendichiamo l’applicazione e l’estensione dell’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione come tutela per tutti i lavoratori che denunceranno di essere stati costretti all’irregolarità del lavoro;

- l’abrogazione del reato di clandestinità e del pacchetto sicurezza che già oggi rappresentano provvedimenti fuori legge perché in netta contrapposizione con la direttiva europea sui rimpatri;

- l'abolizione del permesso di soggiorno a punti e l’attivazione di misure, anche di tipo economico, atte a garantire il diritto ad apprendere l’italiano e a studiare;

- la chiusura dei CIE;

- una regolarizzazione che sia una soluzione reale e rispettosa dei diritti umani e della dignità delle persone per le vittime della sanatoria truffa;

- il passaggio dal concetto di ius sanguinis a quello di ius soli come cardine per il riconoscimento della cittadinanza e una legge che garantisca l’esercizio della piena cittadinanza a chi nasce e cresce in Italia;

- il riconoscimento del diritto di scegliere dove vivere e stabilire la propria residenza, diritto quanto mai fondamentale in un’epoca come quella che stiamo attraversando in cui tutti siamo potenziali migranti;

- una legge organica e adeguata per la tutela dei rifugiati e dei richiedenti asilo.

Chiediamo a tutti di essere protagonisti e di sostenere le mobilitazioni dei migranti il prossimo primo marzo. Ai sindacati non chiediamo un’adesione formale, ma di attivarsi a tutti i livelli per sostenere concretamente i lavoratori, migranti e italiani insieme, che decideranno di astenersi dal lavoro nelle fabbriche, nelle cooperative e in tutti i luoghi di lavoro più o meno formali. A tutti questi è indirizzata questa giornata, per rendere effettivo il diritto di sciopero, per i diritti di tutte e tutti, per costruire insieme una società diversa e multiculturale rifiutando ogni complicità con provvedimenti normativi che legalizzano sfruttamento, razzismo, pregiudizio e paura.
Il 1 marzo dovrà vedere una mobilitazione quanto più possibile diffusa, per permettere la massima partecipazione, sia in caso di scioperi, sia in caso di presidi o manifestazioni.

Verso il Primo Marzo: Mobilitazione italiani e stranieri “vecchi e nuovi cittadini”

Primo marzo insieme contro il razzismo, contro i ricatti, per i diritti di tutte e tutti Quest’anno sarà senz’altro diverso. Il Primo Marzo si avvicina alla sua seconda edizione e le varie realtà che compongo il movimento, associazioni, singoli cittadini, ong, stanno lavorando, tra non poche difficoltà, per portare in piazza quanti si riconoscono nel senso e nel programma elaborato insieme ai vari comitati territoriali dal coordinamento nazionale (vedi box). L’obiettivo è che italiani e stranieri, “vecchi e nuovi cittadini”, si ritrovino uniti e pronti a manifestare a favore di una società che tuteli certi diritti, primo fra tutti quello del lavoro, e che combatta discriminazione e razzismo. L’anno scorso fu un successo. Secondo gli organizzatori, 300 mila persone si mobilitarono in 60 città italiane per sostenere l’importanza e la necessità degli immigrati nel tessuto economico e sociale del nostro Paese. Un contributo fondamentale senza il quale il sistema produttivo, pensionistico, assistenziale italiano andrebbe in tilt. Cortei, presidi, lezioni pubbliche all’aperto, feste, dibattiti animarono la penisola da Nord a Sud e portarono il giallo, il colore del movimento, ovunque. Non tutti riuscirono a scioperare, soprattutto tra le categorie di lavoratori più deboli, almeno dal punto di vista sindacale. Ma questo era stato ampiamente previsto. L’esperimento però funzionò e portò all’attenzione dell’opinione pubblica la centralità della presenza straniera in Italia. Diverse le ragioni dell’esito positivo della prima edizione del Primo Marzo: la novità dell’iniziativa e il contagio dal basso attraverso il tam tam su internet e su Facebook; il gemellaggio con il movimento francese “24 heures sans nous”; la diffusione del libro di Vladimiro Polchi “Blacks out - un giorno senza immigrati”; i tragici fatti di Rosarno, con la caccia al nero seguita alla rivolta dei braccianti africani per le disumane condizioni di lavoro in cui erano costretti a sottostare. Tutto questo rappresentò uno squarcio nella storia recente del nostro Paese, all’interno del quale il Primo Marzo s’inserì trovando una sua fondamentale ragione d’essere.

Oggi il movimento ha perso la capacità d’attrazione dell’anno scorso, anche perché l’entusiasmo e lo slancio della prima volta sono condizioni irripetibili. Come tutte le iniziative spontanee ha fatto fatica a trovare un’unica regia in grado di portare avanti con forza certe istanze di progresso civile. I comitati territoriali, che costituiscono il Primo Marzo, sono composti da realtà a volte lontane tra loro. Le divisioni e i distinguo di questa rete di soggetti sono elementi che ne hanno indebolito la capacità operativa. L’impressione è che si proceda in ordine sparso, con richieste diverse da città a città a seconda di chi gestisce i comitati territoriali. A decidere è chi ha maggiore spirito d’iniziativa.

Eppure tutte le condizioni che hanno fatto nascere il movimento ci sono ancora ed è questo quello che conta. La difesa del lavoro, tema unificante di questa edizione, è tanto più urgente oggi con la crisi che continua a colpire tutti, ma in particolare gli immigrati. Secondo l'Istat, il loro tasso di disoccupazione si aggirava nel 2010 intorno al 12% contro l’8,6% degli italiani. Per gli stranieri la perdita dell’occupazione significa il rischio di espulsione dopo 6 mesi dal licenziamento, secondo quanto stabilito dal pacchetto sicurezza del 2009. La piaga del lavoro nero e del caporalato è più che mai diffusa e continua a rendere il lavoratore immigrato estremamente debole e ricattabile. La lotteria dei click day e i decreti flussi hanno dimostrato, ancora una volta, l’inefficacia e l’ingiustizia di questo sistema di reclutamento. Per tutti, lavoratori e aziende. Per questi motivi il Primo Marzo chiede di unire lo sciopero alle iniziative previste per martedì prossimo.

Ai più importanti sindacati, che l’anno scorso hanno guardato con sospetto l’evolversi del movimento e come quest’anno hanno aderito a singhiozzo alle iniziative locali, ad eccezione della Fiom, ci siamo rivolti per chiedere se non è il caso di spingere anche da parte loro per una mobilitazione generale più consistente a difesa del lavoro di tutti - certo - ma partendo da quello degli immigrati. Se non fosse per loro, che rappresentano più di un milione di iscritti alle maggiori confederazioni (Cgil, Cisl, Uil, Ugl), in alcuni settori (servizi, commercio, costruzioni, agricoltura) i tesseramenti rimarrebbero al palo e i rinnovi riguarderebbero soprattutto i pensionati italiani e non gli occupati attivi. In percentuale, insomma, sono gli stranieri ad aumentare di più all’interno dei sindacati. Tuttavia la posizione che domina rispetto al Primo Marzo è di adesione formale da parte delle segreteria confederali nazionali. “Aderiamo all’iniziativa ma siamo contrari allo sciopero che deve essere un mezzo, non un fine - risponde secca a Mixa Vera Lamonica, segretario confederale della Cgil con delega all’immigrazione. Gli scioperi vanno proclamati solo se hanno possibilità di successo”. Senz’altro vero, ma è noto a tutti che in Italia sono quasi solo i sindacati ad avere la capacità di riempire le piazze. Anche quest’anno il timore è quello di uno sciopero ghettizzante che separi italiani e stranieri. “I nostri iscritti immigrati sono i primi ad essere contrari - sostiene Lamonica - e noi portiamo avanti le loro istanze in tutte le nostre mobilitazioni”.

Della stessa opinione Liliana Ocmin, segretario confederale della Cisl, che parla del pericolo di strumentalizzare certe iniziative e del lavoro quotidiano della sua organizzazione a favore dei lavoratori stranieri: “Noi siamo per la concertazione, la conciliazione - ci dice la responsabile di origine peruviana del Dipartimento Politiche Migratorie, Donne e Giovani - non per lo sciopero che semmai dovremmo essere noi ad indire”. Per la trattativa discreta - verrebbe da dire - e non per il gesto eclatante come quello della manifestazione. Si contesta il metodo, insomma, e anche l’autorità di proclamare lo sciopero. Sui principali temi del programma del Primo Marzo c’è invece totale condivisione perché sono gli stessi che portano avanti i maggiori sindacati attraverso il confronto con le parti sociali. L’estensione del permesso di soggiorno per chi è stato licenziato a tutto il periodo degli ammortizzatori sociali (2 anni e non sei mesi come previsto oggi); il recepimento della Direttiva europea 52 del 2009 che inasprisce le sanzioni a carico di chi impiega manodopera straniera irregolare; la lotta al caporalato; la riforma della legge sulla cittadinanza in modo da garantirla ai figli degli immigrati nati o cresciuti in Italia; il diritto di voto amministrativo, solo per citarne alcuni. Questo il terreno comune su cui muoversi.

Marina Porro dell’Ugl, il cui sindacato, di destra, raccoglie tra le percentuali più alte di iscritti stranieri (intorno al 9,5% sul totale) parla della mancanza di un organo centrale e nazionale vero e proprio che faccia capo al Primo Marzo. “Per questo anche noi aderiamo alle iniziative locali e lasciamo libere le nostre federazioni di partecipare a seconda di quello che è stato previsto nelle varie città”. Il segretario confederale con delega all'Immigrazione, invece, è più possibilista delle sue colleghe a immaginare nel futuro una mobilitazione generale, promossa dai maggiori sindacati, a difesa del lavoro, partendo dalla particolare condizione del lavoratore straniero.“Lo sciopero è un’arma spuntata - ci spiega - ma se parlando con le altre confederazioni si ponesse questa idea, noi non ci tireremmo indietro”.

Intanto Milano, con il ritrovo alle 18 in piazza Duca D’Aosta, Bologna, con il presidio in piazza Nettuno alle 15.30, Reggio Emilia, Modena, Parma, con la manifestazione delle 17.30 da piazzale Santa Croce, Imola, Pordenone, Padova, Trieste, Roma, Cagliari, Oristano, Palermo, Napoli, si stanno preparando al Primo Marzo. Anche quest’anno il movimento ha un profilo sovranazionale e porterà persone in piazza anche in Francia e in Austria.

Per tutte le informazioni riguardo alle adesioni e alla iniziative ancora in corso di programmazione del Primo Marzo, vi invitiamo a consultare la loro pagina Facebook.

Con mixamag.it
di Ginevra Battistini

Istruzioni per chi vuole scioperare il Primo Marzo

Ecco le istruzioni per chi vuole scioperare il primo marzo: condividete e fate girare la voce

di Comitato Primo Marzo

ISTRUZIONI PER L'USO. In Italia lo sciopero è un diritto individuale (art. 40 Costituzione italiana e definito dalla giurisprudenza successiva come un diritto soggettivo pubblico). Secondo la legislazione italiana sul lavoro, lo sciopero è legittimo se ha come scopo la protezione e la difesa degli interessi collettivi dei partecipanti. È questo il caso del Primo Marzo, giornata in cui è indetto uno sciopero contro la legge Bossi-Fini, poiché essa colpendo i lavoratori migranti rende tutti più ricattabili.

Questo significa che in teoria tutti avrebbero il diritto di scioperare il 1 marzo, anche senza la proclamazione da parte dei sindacati. Il modo però in cui in Italia è stato fino ad ora esercitato il diritto di sciopero può rendere questa possibilità aleatoria. E’ importante dunque che il lavoratore che intendesse scioperare il Primo Marzo agisca con una certa cautela e si assicuri una tutela sindacale o una copertura legale

Ecco come fare per avere la copertura sindacale:

- se nel luogo di lavoro esistono dei delegati sindacali e una RSU, chiedete ai delegati di dichiarare lo sciopero aderendo al comunicato che trovate allegato. In questo caso tutti i lavoratori e le lavoratrici di quel luogo di lavoro potranno scioperare senza alcun problema. Decidete le ore di sciopero in base alle condizioni interne.

- se i delegati sindacali non sono d’accordo con lo sciopero, rivolgetevi direttamente al vostro sindacato di appartenenza e pretendete che vi garantiscano la copertura: ricordate che il diritto di sciopero non è nelle mani dei sindacati, ma di tutti i lavoratori. I sindacati, grandi e piccoli, devono rispondere alle richieste dei lavoratori.

- se nel luogo di lavoro non c'è una RSU e volete fare lo sciopero da soli o insieme ad altri vostri compagni di lavoro, cercate sostegno recandovi direttamente al vostro sindacato o in uno dei comitati Primo Marzo vicini a voi o dei coordinamenti migranti e associazioni che partecipano alla mobilitazione del 1 marzo.

- se sul vostro posto di lavoro non c’è nessun sindacato o se voi non siete iscritti a nessun sindacato potete scioperare la stesso, ma contattate uno dei comitati Primo Marzo vicini a voi o dei coordinamenti migranti e associazioni che partecipano alla mobilitazione del 1 marzo per entrare in contatto con quelle organizzazioni sindacali che hanno deciso di coprire chi decide di scioperare in questa data.

Lo sciopero è un vostro diritto: potete scioperare anche senza l’appoggio di un sindacato: è però importante che vi assicuriate di avere assistenza legale nei giorni successivi.

- Tutti coloro che scioperano devono raggiungere il 1 marzo i presidi e le manifestazioni indette nelle diverse città. In questo modo non rimarranno soli e potranno cercare aiuto in caso di problemi.

Lo Sciopero è un tuo diritto, pretendi di esercitarlo!

All’attenzione dell'Ufficio del Personale della

Nome azienda/luogo di lavoro:

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Indirizzo:

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Oggetto: Proclamazione di otto ore di sciopero per 01/03/2011

Si comunica che, in occasione del “Primo marzo – Giornata senza di noi” che si svolgerà in Italia, viene indetto uno sciopero di otto ore contro il razzismo, per l'abrogazione della legge Bossi-Fini e del “contratto di soggiorno per lavoro”.

La crisi economica colpisce i lavoratori e le lavoratrici senza distinzioni, con cassa integrazione e licenziamenti. Ma, a causa del legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, istituito dalla legge Bossi-Fini, per i lavoratori migranti la crisi determina anche il rischio di perdere il permesso: i lavoratori migranti non potranno rinnovare il permesso di soggiorno se perderanno il lavoro o se non raggiungeranno la quota di reddito prevista dalla legge. Così, la legge Bossi-Fini ricatta i lavoratori migranti, costringendoli ad accettare mansioni più dure, meno diritti, salari più bassi. Questo alimenta il razzismo e si ripercuote nei luoghi di lavoro con effetti negativi per tutti. Per questo, lo sciopero del Primo Marzo è indetto come giornata di lotta di tutti i lavoratori, migranti e italiani, per l'abolizione della legge Bossi-Fini e del “contratto di soggiorno per lavoro”.

Primo Marzo Sciopero degli Stranieri: Quest'anno è dedicato a Noureddine Adnane

Nouredine Adnane, morto in italia Nouredine Adnane, venditore ambulante, si è dato fuoco l'11 febbraio dopo l'ennesimo - e ingiustificato- sequestro della merce. E' morto il 19 febbraio, dopo otto giorni di agonia.

LA TRAGEDIA. Raccontata in modo sintetico, e cioè dicendo solo che il venditore ambulante Noureddine Adnane si è dato fuoco dopo l’ennesimo sequestro della merce, la storia potrebbe anche essere, in qualche modo, tipicamente italiana.
Leggendone, mi sono venute alla mente le scene di Ragazzi Fuori di Marco Risi del ‘90. Lo ricordate? Giovani senza possibilità che escono dal carcere e si ritrovano nell’impossibilità di rientrare nella legalità per mancanza di opportunità e un ortodosso abbandono statale. Tra i protagonisti c’era Carmelo, che per guadagnare qualcosa faceva l’ambulante, in lotta costante con i vigili da cui si vedeva puntualmente sequestrato tutto. La lezione di Carmelo si poteva riassumere così: uno Stato che ti mette in galera senza fare niente per riabilitarti, che ti ributta in strada peggio di come ti ha preso e che poi ti ignora, ostacolando –e non valorizzando- i tuoi tentativi di costruirti una vita diversa. Ma Carmelo non è Noureddine: attenzione. Poiché Noureddine, a differenza del ragazzo siciliano, la licenza per fare l’ambulante l’aveva. Poiché Noureddine, e non è poco, era un immigrato marocchino.

La storia è di ordinaria esasperazione. Noureddine aveva ventidue anni, in Italia da dieci. All’ennesimo sequestro inflitto da un gruppo di vigili noto per il loro accanimento a danno di ambulanti immigrati, non ce l’ha fatta. E’ stato forse il bruciore della rabbia a spingerlo a cosparsi di benzina, a donare il suo corpo a fiamme veloci che l’hanno dilaniato. Il dolore di un’ingiustizia, sì. Di un sopruso. Perché l’accusa (quella di essere fermo nello stesso posto per più di un’ora) aveva un retrogusto troppo marcatamente razzista per essere digerita. Scivolando giù, gli si è bloccata in gola. E si è dato fuoco. Ma la sua protesta non è caduta nel nulla. Grazie anche alle testimonianze di altri ambulanti, la Procura ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio. Più di un collega di Noureddine ha riferito delle continue vessazioni ad opera dei vigili. Da uno, in particolare: noto come Bruce Lee, già militante di Forza Nuova, braccio ornato da una svastica tatuata.

Un’ingiustizia, sì. Un sopruso. Per questo il Comitato Primo Marzo ha deciso di dedicare a lui, ai suoi occhi, alla sua giovane età, al suo futuro mancato il prossimo sciopero degli stranieri. Perché la sua storia esca dal recinto di Palermo e si inietti nell’indignazione nazionale. Perché si possa riflettere sulla velocità con cui razzismo e xenofobia possono recidere una vita. Perché non ci si stanchi, non ci si senta inerti di fronte all’arroganza, alla protervia. Perché è quello che non diciamo, quello per cui non protestiamo a rinvigorire questi atti. Nel nome di Noureddine, quindi, il Primo Marzo tutta l’Italia sarà in piazza. E sarà attraverso i suoi occhi, attraverso il suo sguardo di ragazzo infranto, che grideremo il bisogno di un’Italia libera dalla metastasi razzista.

Con Corriere Immigrazione/Luigi Riccio

Oscar 2011: Ecco i premi dell'83/ma edizione presentata da Hathaway-Franco

Hathaway-Franco-oscars-show-05.ss_fullI presentatori dell’83/ma edizione delgli Oscar: Hathaway - Franco

Ecco i premi assegnati nell'83/ma edizione degli Academy Awards, che hanno visto trionfare Il Discorso del Re.

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Colin Firth – L’attore principale
del film vincitore

- FILM: Il discorso del Re

- REGIA: Tom Hooper (Il discorso del Re)

- ATTORE PROTAGONISTA: Colin Firth (Il discorso del Re)

- ATTRICE PROTAGONISTA: Natalie Portman (Il cigno nero)

- ATTORE NON PROTAGONISTA: Christian Bale (The Fighter)

- ATTRICE NON PROTAGONISTA: Melissa Leo (The Fighter)

- FILM D'ANIMAZIONE: Toy Story 3

- FILM STRANIERO: In un mondo migliore (Danimarca)

- SCENEGGIATURA ORIGINALE: David Seidler (Il discorso del Re)

- SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: Aaron Sorkin (The social network)

- CORTO D'ANIMAZIONE: The Lost Thing

- FOTOGRAFIA: Wally Pfister (Inception)

- SCENOGRAFIA: Robert Stromberg e Karen O'Hara (Alice nel paese delle meraviglie)

- COLONNA SONORA ORIGINALE: Trent Reznor e Atticus Ross (The social network)

- SONORO: Lora Hirschberg, Gary A.Rizzo, Ed Novick (Inception)

- MONTAGGIO SONORO: Richard King (Inception)

- TRUCCO: Rick Baker e Dave Elsey (Wolfman)

- COSTUMI: Colleen Atwood (Alice nel paese delle meraviglie)

- CORTO DOCUMENTARIO: Strangers No More

- CORTO D'AZIONE: God of Love

- DOCUMENTARIO: Inside Job

- EFFETTI VISIVI: Paul Franklin, Chris Corbould, Andrew Lockley e Peter Bebb (Inception)

- MONTAGGIO: Angus Wall e Kirk Baxter (The social network)

- CANZONE ORIGINALE: We Belong Together (di Randy Newman per Toy Story 3)

Osca 2011: In memoriam, ricordati Monicelli e De Laurentiis

grandi-attori-italiani-oscar-2011-Monicelli, De Laurentiis e Alberto sordiMonicelli, De Laurentiis e Alberto Sordi

Los Angeles - L'Academy ha ricordato anche Mario Monicelli e Dino De Laurentiis nel tradizionale "in memoriam" al Kodak Theatre di Los Angeles. Il regista toscano, scomparso a dicembre, era stato candidato a due Oscar come sceneggiatore per I compagni e Casanova 70. Tra i tanti nomi citati dall'Academy ci sono anche Tony Curtis, Leslie Nielsen, Claude Chabrol, Jill Clayburgh e Dennis Hopper. Nessun riferimento, invece, a Maria Schneider, la protagonista di Ultimo tango a Parigi scomparsa il 3 febbraio scorso.

Afghanistan/Bomba: Morto un alpino del quinto Reggimento; tre italiani uccisi da Capodanno

Un convoglio di militari italiani di stanza in Afghanistan

Un militare italiano è morto e altri quattro sono rimasti feriti nell'ovest dell'Afghanistan, a Shindand. I soldati italiani, del quinto Reggimento Alpini, erano su un veicolo blindato Lince che è saltato su un ordigno rudimentale. Il mezzo stava rientrando alla base dopo un'operazione di assistenza medica alla popolazione locale. La Difesa precisa che l'agguato è avvenuto alle 12.45 ora locale, a 25 chilometri a nord di Shindad.

Sono già tre i militari italiani rimasti uccisi in attacchi compiuti da ribelli nell'ovest dell'Afghanistan dalla vigilia di Capodanno scorso. Oggi soldato italiano è morto per l'esplosione di un ordigno improvvisato che ha colpito un veicolo blindato Lince nei pressi di Shindand, nell'ovest dell'Afghanistan.

Il 31 dicembre 2010, il caporal maggiore Matteo Miotto, in forza al Settimo reggimento alpini di Belluno, è stato ucciso da colpo sparato da un cecchino mentre si trovava su una torretta della base Snow nel Gulistan.

Il 18 gennaio, invece, ha perso la vita il caporal maggiore Luca Sanna, fuciliere dell'Ottavo Reggimento alpini, colpito da fuoco "nemico" dentro una base avanzata nei pressi di Bala Murgab, nell'ovest del paese.

domenica 27 febbraio 2011

Milan/Napoli: Allegri lo dice, "Sfida scudetto. Il Napoli non è lì per caso"

Massimiliano-Allegri3 Roma - Il tecnico del Milan alla vigilia della sfida di San Siro: "Partita importante, direi decisiva. Ci tocca la gara perfetta, non dobbiamo farli ripartire".

Massimiliano Allegri non si nasconde. O meglio non nasconde il suo avversario: "Milan-Napoli è una sfida scudetto, loro non sono dietro di noi per caso". Il tecnico rossonero presenta così il posticipo più atteso, prima e seconda della Serie A di fronte domani sera a San Siro: “E' una partita importante e fondamentale - ha aggiunto il tecnico rossonero alla vigilia della gara contro il Napoli -, ci giochiamo molto. Dovremo fare una partita quasi perfetta e stare attenti alle loro qualità migliori, cioè le ripartenze di Hamsik e Cavani”.

Con Agenzie

Notte degli Oscar 2011: Conto alla rovescia con film britannici in pole

oscar_nominations_notte_degli_oscar_now Los Angeles 27 feb. - A più di 200 anni dalla guerra di indipendenza, quasi a volersi prendere la rivincita, gli inglesi si preparano a riconquistare l'America, almeno da un punto di vista artistico. L'invasione degli inglesi alla notte degli Oscar , domenica prossima, infatti è già una realtà, indipendentemente da chi porterà a casa la statuetta, visto che uno dei dieci film candidati (che è anche il superfavorito), Il discorso del Re, racconta proprio la storia inglese, mentre fra gli attori è data per certa la vittoria di Colin Firth e Christian Bale, per le categorie migliore attore protagonista e non protagonista. Il primo interpreta appunto re Giorgio VI, affetto da gravi problemi di balbuzie nella pellicola di Tom Hooper (altro inglese candidato fra i migliori registi) che ha già permesso all'attore di conquistare il Sag Award, il Globo d'oro e il Bafta Award.

Manca solo la vittoria agli Oscar ma è praticamente solo questione di tempo. Bale, dal canto suo, ha ricevuto gli stessi riconoscimenti nella categoria miglior attore non protagonista per il suo ruolo, al fianco di Mark Wahlberg, in The Fighter dramma sulla boxe in cui interpreta Dicky, un pugile fallito che aiuta il fratello a diventare campione del mondo dei pesi welter leggeri. E' inglese anche Helena Bonham Carter che potrebbe vincere come miglior attrice non protagonista per il ruolo della Regina Elisabetta, moglie di Giorgio, ne Il Discorso del re, ma i bookmakers non danno la sua statuetta così certa. A batterla potrebbe essere Melissa Leo per The Fighter. Il fattore più indicativo per la vittoria dei due attori inglesi sembra essere la conquista del Bafta Award, il premio conferito ogni anno dalla British Academy ai migliori attori e registi del cinema e della televisione d'oltremanica. Da quando nel 2000 la cerimonia di consegna del premio è stata spostata a poche settimane prima della notte degli Oscar , è sempre stata in grado di anticipare i vincitori delle statuette. Basti dire che l'anno scorso 12 dei 18 vincitori del Bafta Award hanno poi trionfato al Kodak Theatre di Los Angeles.

Nel 2007 la sfera di cristallo dei critici inglesi è stata infallibile: il cento per cento degli attori vincitori del premio britannico hanno ricevuto anche l' Oscar . Le due giurie sono state in disaccordo solo sul miglior film: a Londra è stato premiato l'inglesissimo The Queen di Stephen Frears, a Los Angeles The Departed di Martin Scorsese. Del resto nessuno è perfetto. Da quando nel 1929 George Arliss è stato il primo attore inglese a vincere il premio dell'Academy con il film Disdraeli, a Hollywood è cominciata l'invasione britannica. Nell'edizione degli Oscar 1991 il miglior attore è stato il gallese Anthony Hopkins con Il Silenzio degli Innocenti, l'anno successivo è toccato ad Emma Thompson, nata nel londinese quartiere di Paddington. L'accento inglese sembra negli anni aver fatto colpo sul cinema di Hollywood: da Keira Knightley a Robert Pattinson, da Emma Watson a Andrew Garfield, che non solo ha recitato nel film di David Fincher Social Network, ma ha anche conquistato la parte di protagonista nel prossimo episodio dell'Uomo ragno, The amazing Spiderman. Una spiegazione della progressiva conquista degli attori inglesi del mercato hollywoodiano potrebbe stare nella loro eccellente preparazione tecnica. In un recente articolo pubblicato dal sito nymag.com l'agente cinematografico Louise Ward ha sottolineato come in Inghilterra il mestiere dell'attore venga studiato con precisione maniacale e come per i ragazzi inglesi ''iscriversi ad un corso di recitazione sia una cosa naturale come giocare una partita di calcio''.

Ansa & Ecumene24

Yara Gambirasio, il giorno del dolore; Choc e rabbia a Brembate

Yara Gambirasio, il giorno del dolore; Choc e rabbia a Brembate Bergamo/Ansa 27 feb - "Abbiamo trovato cose importantissime". Lo ha detto il questore di Bergamo, Vincenzo Ricciardi, durante uno dei sopralluoghi che sul luogo del ritrovamento del corpo di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa il 26 novembre scorso, i cui resti sono stati trovati ieri pomeriggio a Chignolo d'Isola, precisando che qualcos'altro si sta ancora cercando. Gli esperti sono al lavoro da ieri pomeriggio: oltre ai resti di Yara e ai suoi vestiti, intorno al corpo sono stati trovati alcuni suoi oggetti personali, tra i quali, pare, un i-Pod e un telefonino. Un operaio della ditta proprietaria del terreno dove e' stato ritrovato il corpo intanto ha ribadito di esser stato la' in passato e che "non c'era assolutamente niente". I genitori della giovane si sono recati oggi a Milano per il riconoscimento ufficiale del corpo su cui domani sara' effettuata l'autopsia. Tutta la comunita' di Brembate e' in lutto: annullati i festeggiamenti per il carnevale e le partite di calcio.

CADAVERE AVEVA BRACCIA ALL'INDIETRO. IN TASCA CHIAVI E SIM DI UN CELLULARE, MA MANCA TELEFONINO - Il corpo di Yara era disteso sulla schiena con le braccia all'indietro. A riferirlo è un testimone oculare, uno dei primi arrivati sul posto, che ha potuto osservare la scena del crimine prima che tutti venissero allontanati per fare spazio agli uomini della Scientifica. Secondo quanto si è appreso, i resti non erano individuabili da lontano, e nonostante si trovassero senza alcuna copertura nemmeno parziale sopra le sterpaglie, già da pochi passi risultavano praticamente invisibili. La scena apparsa davanti agli occhi delle prime persone accorse sul posto è stata quella di un cadavere in avanzatissimo stato di decomposizione: disteso sulla schiena, con le braccia all'indietro oltre il capo come nel tentativo di liberarsi da qualcuno di dosso, o forse per via di un breve trascinamento. Le mani parzialmente coperte dalle maniche del giubbotto, lo stesso che indossava il giorno che è scomparsa, come peraltro gli altri abiti che indossava, la felpa, i pantaloni elasticizzati e i guanti. In tasca sono stati trovati alcuni oggetti come una sim card di un telefonino, presumibilmente il suo, le chiavi di casa e la batteria di un telefonino, che invece manca all'appello. Il corpo in alcuni tratti era quasi mummificato e in alcuni punti scarnificato forse per l'intervento di alcuni animali, e presentava dei taglietti, uno più esteso alla schiena all'altezza dei reni, altri più piccoli all'altezza del collo e del petto. Segni che però ancora non è chiaro se siano stati provocati da chi l'ha aggredita o se siano stati inflitti post mortem. Una parola certa su tutto ciò non si potrà avere, a livello investigativo, fino a quando gli accertamenti più approfonditi sugli oggetti trovati e le risultanze autoptiche non daranno il giusto valore a ciascuno di questi elementi.

QUESTORE BERGAMO, TROVATE COSE IMPORTANTISSIME - ''Abbiamo trovato cose importantissime...''. Lo ha detto il questore di Bergamo, Vincenzo Ricciardi, stamani in uno dei diversi sopralluoghi che ha effettuato sul luogo del ritrovamento del cadavere di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa il 26 novembre scorso, i cui resti sono stati trovati ieri pomeriggio a Chignolo d'Isola.

GENITORI ARRIVATI A ISTITUTO MEDICINA LEGALE MILANO - I genitori di Yara Gambirasio sono appena arrivati all'istituto di medicina legale di Milano dove e' stato portato il cadavere della ragazzina trovato ieri. I due erano a bordo di una macchina delle forze dell'ordine scortata da altre due autovetture e sono entrati direttamente in auto nel cancello dell'istituto.

OPERAIO AZIENDA, SONO STATO IN CAMPO NON C'ERA NIENTE - ''Io ci sono stato a cercare la', non c'era assolutamente niente''. Lo ha detto, questa mattina, con parole smozzicate, un operaio che lavora nella ditta Rosa & C., una Spa che produce laminati industriali, proprietaria del terreno sterrato e al momento incolto, dove ieri pomeriggio e' stato ritrovato il corpo di Yara Gambirasio. Gia' ieri si era accennato al fatto che oltre alle ricerche effettuate dai volontari della Protezione Civile proprio in quel posto, anche i dipendenti della ditta avevano deciso, in una occasione, di effettuare una ricerca tutti insieme. ''Si', si' - conferma l'operaio - ci siamo stati a vedere in quel posto. E c'ero anch'io, ma la' non c'era assolutamente niente''. La Rosa & C. Spa e' un'azienda molto grande con diversi capannoni, sia industriali che ad uso ufficio, che si estende per un fronte di oltre 100 metri e termina proprio alla fine della strada asfaltata oltre la quale comincia il campo incolto dove sono stati trovati i resti.

DON CORINNO, ADESSO SAPPIAMO COSA E' UN ORCO - ''Nelle favole tutto finisce bene ma adesso sappiamo cosa e' un orco e siamo preoccupati perche' l'orco e' tra noi'': lo ha detto don Corinno, parrocco di Brembate, nella messa delle ore 10. La chiesa era strapiena e in molti non hanno nascosto la loro commozione. Il parroco ha annunciato che fino a sera le campane del paese suoneranno a festa ogni ora ''perche' - ha spiegato - ora Yara e' un angelo''.

LA STORIA - Yara Gambirasio era scomparsa il 26 novembre, a Brembate Sopra (Bergamo). Erano più o meno le 18.40 quando la tredicenne, giovane promessa della ginnastica ritmica, è uscita dal palazzetto dello sport per tornare a casa. Da quel momento di lei si sono perse le tracce. Yara è scomparsa tra via Morlotti e via Rampinelli, lungo i 700 metri che portano dal centro sportivo alla sua abitazione.

Tre mesi dopo quella fredda sera d'autunno, gli interrogativi del primo giorno restano ancora senza risposta. Polizia e carabinieri hanno ascoltato centinaia di persone, scandagliato la vita di amici e familiari, perlustrato palmo a palmo decine di chilometri quadrati di terreni, dalla Val Brembana, alla zona dell'Isola, fino alla Bassa Bergamasca. Il fiuto dei cani ha portato al gigantesco cantiere di Mapello (Bergamo), ispezionato a fondo per circa due settimane, attorno al quale sono state fatte mille ipotesi.

Il caso sembrava chiuso già dopo una settimana, con l'arresto di un muratore marocchino, che poi si è rivelato estraneo alla vicenda.

sabato 26 febbraio 2011

Calvizie/VIP: John Travolta fotografato senza parrucchino

john travolta-pizzicato-parrucchino-in-vacanza-alle-hawaii New York - Meglio con il parrucchino o senza? E' sicuramente quanto si chiedono i fan di John Travolta pizzicato dal sito gossipblog alle Hawaii senza il toupé che indossa ad ogni uscita pubblica ormai da qualche anno.

La star di “Grease” e de 'La Febbre del Sabato' sera' si trovava nella sua villa assieme alla famiglia per festeggiare il 57esimo compleanno (è nato il 18 febbraio 1954) quando i paparazzi hanno immortalato la calvizie dell’attore hollywoodiano. In fin dei conti i “veri capelli” di John Travolta non sono male.

E24 con Agenzie

venerdì 25 febbraio 2011

Il Gigante e la Formica televisiva. Chiude Dahlia tv

chiude-dahlia-tv Una fetta di diritti sportivi sul digitale terrestre e un concorrente troppo grosso e potente. Intrecci azionari e scambio di favori tra “Grandi” con Telecom che aiuta Mediaset

Dahlia tv chiude le trasmissioni. Telecom Italia Media non ha accettato il piano di salvataggio proposto dall'amministratore Filippo Chiusano determinando la chiusura della pay tv alternativa a Mediaset sul digitale terrestre. I diritti delle squadre seguite da Dahlia e i suoi 600 mila abbonati potranno passare al solo concorrente sul mercato. Perdono il lavoro 150 giovani tra cui 25 giornalisti. «Mi dispiace per i 150 ragazzi perché li ho quasi tutti assunti io», ha spiegato all'Ami Filippo Chiusano.

Dahlia tv non trasmette più. Ferma la programmazione e la messa in onda. Con molte probabilità che ad acquisire i diritti per la trasmissione delle partite di calcio delle squadre prima seguite da Dahlia sarà Mediaset. Il gruppo guidato dal Fedele amico del premier, Confalonieri, si accaparrerà in breve tempo i 600mila abbonati divenendo di fatto l'azienda monopolista sul digitale terrestre per il calcio e lo sport a pagamento.

Ci hanno creduto tutti ma non Telecom. Finisce oggi una storia cominciata nel marzo del 2009. Dal sito ancora on line leggiamo che «l’obiettivo che Dahlia si pone è quello di offrire un prodotto televisivo innovativo, dai contenuti mai scontati. Le parole d’ordine sono adrenalina e passione». Obbiettivo non conseguito, nonostante la buona volontà di un imprenditore-editore intellettualmente onesto: Filippo Chiusano. Ad della Made, ex Filmmaster Tv, Chiusano ha tentato con gli svedesi di Wallenberg e con Telecom Italia Media di dar vita a un canale alternativo a Mediaset. Poche pretese nella programmazione, sport e intrattenimento erotico. Nessun tg e nessun canale all news.

Telecom a vantaggio di Mediaset. Ma questo non è bastato per conquistarsi l'agibilità nel panorama televisivo. Il piano di salvataggio proposto da Chiusano aveva, fino a poche ora fa, convinto tutti i diretti interessati tranne Tecom IM. Anche la Lega Calcio aveva rinunciato a una parte dei propri profitti pur di avere un sistema di mercato sano, con più di un soggetto interessato da poter, almeno sulla carta, vantare una concorrenza che avrebbe giovato ai club. Ma il piano non ha convinto Telecom che non ha ritenuto proficuo rinunciare al proprio credito pur di mantenere in vita una società di cui fa parte e a cui affitta le frequenze essendone l'unica detentrice.

La tv è solo per giganti. Una storia quella di Dahlia che spiega come in Italia sia impossibile intraprendere esperienze editoriali alternative a Mediaset. E anche quando si tenta si finisce con l'imbarcare gente vicina al premier che in un modo o nell'altro si salva sempre. È il caso di Urbano Cairo, concessionario della pubblicità per conto di Dahlia e presidente del Torino, la squadra con maggior seguito nel campionato cadetto. O di Piero Vigorelli, uomo che nel '94 attraversò Saxa Rubra avvolto nella bandiera di Forza Italia, attualmente presidente di Telecom Italia Media.

Mediaset deve comprare i diritti, Dahlia banda e diritti. A Chiusano abbiamo chiesto se in Italia è ancora possibile fare televisione o se è un'esperienza che sconsiglierebbe. «No, non è da evitare ma non è un posto facile», ha risposto. «Uno parte con degli alibi “la potenza di Mediaset come si fa a contrastare”. Ma se lo si facesse seriamente...», spiega lasciando in sospeso la frase. «Siccome Mediaset è la società appartenente alla famiglia del primo ministro questo non aiuta la sensazione che in Italia sia facile fare tv».

Mercato difficile, ingenuità imperdonabili. «Per esperienza non ho mai avuto la sensazione dell'esistenza di una macchina che ostacolasse sempre il lavoro» però poi aggiunge: «Ho avuto un sentore evidente, Dahlia partiva con un livello competitivo più basso delle altre. Mediaset doveva comprare i diritti ma la banda l'aveva. Dahlia doveva comprare banda e diritti. La somma di queste due voci rende l'affare impraticabile. Per questo nel piano di salvataggio avevo chiesto l'azzeramento per un anno e mezzo di queste due voci. La lega mi ha detto di sì, Telecom mi ha detto di no».

Alessandro di Rienzo/agenziami.it/

Crisi/Libia: L’Occidente tra sanzioni ed intervento militare

libya-woman-guerra_in_libia_manifestazioni_gheddafi_sparito Situazione militare sul filo del rasoio. I rivoltosi marciano sulla capitale. Il colonnello accerchiato nel suo bunker di Tripoli, ma le fonti sono incerte. Onu, Usa e Ue, divisi e incerti, oscillano tra ipotesi di sanzioni e possibile azzardo militare. Italiani intrappolati nel sud

Il caos della guerriglia urbana e quello dell'informazione frantumata. E' urgente «pianificare azioni coordinate per una adeguata assistenza umanitaria», si raccontano il presidente francese Nicolas Sarkozy,  il premier britannico David Cameron e l'italiano Silvio Berlusconi. Intuizione fulminante. Si muove anche Obama. Altro giro di telefonate per arrivare a concordare di risentirsi «per consultazioni ravvicinate nei giorni a venire». I grandi dell'Occidente 'si consultano per decidere di consultarsi' e la Libia affonda. Quella controllata da Gheddafi si sta stringendo sempre di più. Il regime continua a perdere i pezzi anche sul fronte politico. Ha chiesto asilo politico all'Egitto il cugino di Gheddafi, Ahmed Gadhaf al Dam, suo portavoce per gli affari internazionali. La Svizzera blocca i conti del clan Gheddafi.

Frammenti di guerra
Le notizie che si inseguono sui canali informativi internazionali sovente si contraddicono. O sono costrette a soffermarsi sui dettagli, mancando d'altro. Oggi si insiste sulla battaglia da Zawia, città a circa 40 chilometri a ovest della capitale. L'attacco dei militari libici a Zawia è durato circa cinque ore e ha causato 100 morti e 400 feriti, riferisce invece Al Jazeera, mostrando le immagini di un posto di polizia nella città dato alle fiamme. «È un massacro, ed è difficile stimare il numero di morti» ha detto un ufficiale all'emittente Al Arabiya. Si parla anche di migliaia di mercenari e miliziani africani che si starebbero dirigendo verso Tripoli per portare rinforzi al leader libico.

A macchia di leopardo
Persone fuggite dalla Libia in Tunisia hanno raccontato che i ribelli anti-Gheddafi hanno il controllo della città di Misurata. Violenti scontri anche a Sabratha, dove si trova un importante sito archeologico romano. Per la prima volta ci sono notizie di proteste anche nella città meridionale di Sabha, considerata una roccaforte del leader libico. Sliman Bouchuiguir, segretario generale della Lega libica per i diritti umani, citando fonti mediche, denuncia incredibili massacri a Tripoli. Bande armate dei «comitati rivoluzionari» al soldo di Gheddafi avrebbero fatto irruzione negli ospedali di Tripoli, uccidendo i feriti che avevano manifestato contro il regime.

Tentazioni di «guerra umanitaria»
L'Unione europea non esclude un intervento militare per fronteggiare l'emergenza umanitaria che si sta profilando. «Ipotesi allo studio», minimizzano fonti comunitarie da Bruxelles. Ma intanto se ne parla ed è già questo preoccupante. L'Unione europea dispone di unità militari chiamate «battle groups» che fanno parte dello «staff militare dell'Unione europeo». Nato col trattato di Nizza del 2000, della struttura non è comparsa traccia sulla stampa internazionale. Non è il corpo dei Marines, si può dedurre. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa, comunque nega ed esclude l'ipotesi, «non se ne è parlato, non mi pare che ci siano le condizioni in questo momento».

Con Agenzia AMI

Wall Street chiude positiva: Dow Jones +0,51%, Nasdaq +1,58%, S&P 500 +1,06%

NEW YORK, 25 FEB - Chiusura in territorio positivo per Wall Street. Il Dow Jones sale dello 0,51% a 12.130,45 punti, il Nasdaq avanza dell'1,58% a 2.781,05 punti mentre lo S&P 500 cresce dell'1,06% a 1.319,90 punti. L'euro e' scambiato a 1,3750 dollari dopo la chiusura di Wall Street. Al termine delle contrattazioni la moneta statunitense e' scambiata a 81,670 yen, 0,92770 franchi svizzeri e 0,62054 sterline.

Nucleare: Giuri' ferma spot, arriva nuova versione: Alla partita a scacchi si aggiunge dichiarazione pro-atomo

Una nuova versione dello spot del Forum Nucleare Italiano che tiene conto dei rilievi mossi dal Comitato dell'Autodisciplina Pubblicitaria sarà inserita presto sul sito internet www.forumnucleare.it. Lo riferisce lo stesso Forum intervenuto cosi' a seguito della pronuncia dell 'Istituto dell'Autodisciplina pubblicitaria che ha considerato 'ingannevole' la pubblicita' basata su una partita a scacchi. Il Forum ha riuferito la decisione di modificare il filmato ''inserendo un chiaro riferimento alla propria posizione pro-nucleare chiedendo contestualmente un parere preventivo al Comitato di Controllo. Poiché il Giurì non ha contestato i contenuti e la sostanza della nostra comunicazione - come invece i nostri detrattori hanno strumentalmente cercato di far credere - lo spot è rimasto identico a quello trasmesso ma contiene in questa versione l'affermazione 'Noi siamo favorevoli', cui si aggiunge una domanda rivolta allo spettatore: 'E tu?'". "Sottolineiamo che il mancato riferimento alla posizione pro nucleare del Forum - si spiega - non era stata inserita nella precedente versione perché era nostra intenzione essere equilibrati, dando pari dignità alle due posizioni: favorevoli e contrarie". "L'idea di modificare lo spot per cercare di rispondere a quanto sollevato dal Giurì - conclude il Forum Nucleare Italiano - rientra nell'ottica di trasparenza e chiarezza che contraddistinguono il modo di operare del Forum e all'obiettivo di far riprendere il dibattito sul nucleare in Italia dopo decenni di silenzio e fornire argomentazioni che possono aiutare tutti ad acquisire una posizione più consapevole, sia essa 'pro' o 'contro', su questo tema".

L'Istituto dell'Autodisciplina pubblicitaria aveva dichiarato che la pubblicita' del Forum Nucleare Italiano non e' conforme agli articoli 2 e 46 del Codice di Autodisciplina della comunicazione e ne ha ordinato pertanto la cessazione, perche' si tratta di una pubblicita' ingannevole.
''Bocciati dunque i furbetti del nucleare, che sotto le mentite spoglie di una pubblicita' informativa hanno cercato di manipolare l'opinione pubblica su un tema che ha invece bisogno di un'informazione equilibrata e approfondita '', hanno affermato i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, rendendo noto la pronuncia del Giuri', che ha accolto il loro ricorso presentato nelle scorse settimane. Il ricorso era stato presentato anche Greenpeace

''Non comunica al telespettatore gli obiettivi sociali che l'associazione inserzionista intende raggiungere''. E' questa la motivazione con cui il Giuri' dell'Autodisciplina Pubblicitaria ha bocciato la pubblicità del Forum nucleare italiano. Il Forum, nel suo sito, ribadisce che ''l'obiettivo della campagna di comunicazione, di cui lo spot fa parte, e' quello di contribuire alla ripresa del dibattito sul nucleare in Italia dopo decenni di silenzio e fornire argomentazioni che possono aiutare tutti ad acquisire una posizione piu' consapevole, sia essa 'pro' o 'contro', su questo importante tema''.
Di qui l'idea di utilizzare una partita a scacchi per richiamare l'attenzione sul fatto che l'unico modo per dissipare i dubbi e' quello di farsi un'opinione fondata su basi solide e informate. Una modalita', secondo il Forum, ''semplice e comprensibile da tutti'' per rappresentare due diverse visioni che si affrontano, una favorevole al nucleare e l'altra contraria. ''Ogni pedina mossa sullo scacchiere - si legge sul sito del Forum - corrisponde a un pensiero sul nucleare. Bianchi e neri, favorevoli e contrari si affrontano con legittimi interrogativi. Alla fine si scopre che il giocatore sta giocando una partita contro se stesso e i propri dubbi''. Infine, il Forum rileva che, nel rispetto dell'autonomia decisionale del Giuri', il Jury d'Ethique Publicitaire di Bruxelles aveva invece giudicato corretto lo spot diffuso dal Forum nucleare belga, analogo a quello trasmesso in Italia. Anche lo spot belga, infatti, si articolava con l'esposizione dubitativa delle ragioni pro e contro l'energia nucleare e rinviava al suo sito Internet nella schermata finale.

Con l’Ansa

Guerra in Libia tra disinformazioni ed incertezze

muammar-gheddafi-01 Milano - Gheddafi c'è, è a Tripoli e torna a parlare alla sua gente, assiepata nella piazza principale della capitale libica. "Voi siete il popolo, preparatevi a difendere il paese. La battaglia del jihad ci ha permesso di sconfiggere la colonizzazione italiana e il popolo armato può sconfiggere ogni attacco". Aizza alla folla che applaude, ma nel pomeriggio la scena era un'altra: ribelli ed esercito si erano fronteggiati, provocando, a detta di alcuni testimoni, un bagno di sangue. Le forze di Gheddafi avevano sparato sui manifestanti e avevano messo in atto rastrellamenti casa per casa.

Intanto l'aeroporto internazionale di Mitiga, a Tripoli sarebbe caduto nelle mani dei manifestanti anche se la notizia non ha trovato conferme. Secondo la tv araba Al Jazeera i militari che erano presenti all'interno dello scalo avrebbero aderito alla rivolta contro Gheddafi. Secondo il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Co-mai) Foad Aodi, anche uno dei figli di Gheddafi sarebbe passato dalla parte degli insorti.

Il consiglio di sicurezza dell'Onu sta prendendo in considerazione una risoluzione per la Libia che dovrebbe prevedere il congelamento dei beni, l'embargo alle forniture di armi, il ricorso alla corte penale internazionale per chi in Libia si sarà macchiato di crimini di guerra.

E anche Barack Obama starebbe pensando a un'azione militare per fermare il bagno di sangue.

Giuliano Ferrara avrà uno spazio su Rai1, ogni giorno dopo il Tg1

giuliano_ferrara_torna_in_ra1 Ogni giorno, dopo il tg delle 20, Giuliano Ferrara avrà uno spazio su Rai1. E' un'ipotesi allo studio di viale Mazzini secondo l'Adnkronos.

Roma - Giuliano Ferrara, protagonista e ideatore pochi giorni fa di una manifestazione pro- Berlusconi, tornerebbe dopo molti anni alla conduzione di una trasmissione giornalistica nel servizio pubblico. E allo studio ci sarebbe per lui uno spazio quotidiano in access prime time su Rai1. Si starebbe pensando per il direttore de Il Foglio ed l’ex conduttore di Otto e mezzo a un programma che andrebbe in onda dopo il Tg1 delle 20, nella collocazione che anni fa era di "Il Fatto" di Enzo Biagi.

Proprio oggi, Il Foglio pubblica un'intervista al dg Rai Mauro Masi. Secondo il quale «quello in Rai è un lavoro difficile, uno dei più difficili in Italia. Ma è interessante e mi piace. Tutta la vita sono stato un ’civil servant’ e continuerò a farlo». L'intervista al direttore generale della Rai prende spunto dalle indiscrezioni su una sua possibile partenza da Viale Mazzini. A chi ha ipotizzato un suo addio dopo le parodie di Luca e Paolo a Sanremo, Masi replica spiegando che «la satira vive in una dimensione tutta particolare. Si può discutere se Sanremo sia il luogo più adatto per la satira politica. Questa scelta è stata proposta, insieme a tutto il pacchetto Sanremo, dalla direzione di rete, Rai1. Sanremo è stato comunque un grande successo, un successo della Rai nel suo insieme».

Il dg racconta che la Rai «è molto complicata, ha una governance difficile, un assetto normativo complessivo di settore arretrato rispetto agli sviluppi tecnologici». «Ci vuole - spiega poi al Foglio - un intervento ampio e condiviso da parte del legislatore, che ripensi la governance e l’assetto normativo di settore. In altre parole, la stessa natura giuridica della Rai. Serve una scelta chiara: o si fa la scelta completamente pubblica, e ne esistono esempi internazionali», oppure «si chiarisce bene cosa è privato nel bilancio Rai».

Il dg Rai spiega anche che c’è «un problema interno aggiuntivo, che riguarda la governance interna. Parlo dei rapporti con il capo azienda da un lato con il consiglio di amministrazione e dall’altro con i direttori di rete». Masi è soddisfatto del bilancio della Rai, meno soddisfatto «per ciò che riguarda la qualità dei palinsesti, la ricerca di un vero pluralismo in azienda in rapporto al servizio pubblico. Ci stiamo provando ma il percorso è lungo». Michele Santoro? «Lo considero uno dei migliori giornalisti televisivi italiani - risponde Masi - Sogno di vederlo in un programma meno santoriano. Oramai a mio avviso è un pò schiavo del suo personaggio». E a chi lo bolla come censore, Masi risponde: «Un’autentica bestialità. Portata avanti da una stremata e riconosciuta compagnia di giro. Della quale non mi curo molto».

Con la Stampa, Edz. Ec24

giovedì 24 febbraio 2011

Malaria: Il parassita applica la "legge del più forte"; la malattia è più aggressiva

la_malaria_il_virus Roma - È la lotta per la sopravvivenza combattuta all'interno del flusso sanguigno a rendere pericolosa - e mortale - la malaria. Secondo i ricercatori dell'Università di Edimburgo (Scozia), i parassiti portati dalle zanzare anofele, infatti, una volta iniettati, si batterebbero contro gli altri batteri per la supremazia, indebolendo l'organismo che, suo malgrado, li "ospita".

Nel corso della ricerca, pubblicata su American Naturalist, gli esperti hanno scoperto che i parassiti della malaria - una patologia che ogni anno provoca il decesso di quasi un milione di persone -, dopo essere giunti nel sangue, alterano il loro piano d'attacco in base alla presenza di eventuali "concorrenti". In tal caso, infatti, i microrganismi si riproducono rapidamente per combattere gli altri ceppi infettivi, sottraendo "risorse utili" alla diffusione dell'infezione. "Abbiamo scoperto che quando i parassiti sono in concorrenza tra loro, reagiscono con una sofisticata strategia per salvaguardare la loro sopravvivenza" spiega Laura Pollitt, ricercatrice dell'Edinburgh University's school of bioogical sciences, che ha partecipato alla ricerca.

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Mappa della diffusione della Malaria nel Mondo

Con Tmnews & Agenzie

mercoledì 23 febbraio 2011

Fidel Castro: il piano della NATO è occupare la Libia

Fidel-Castro Il petrolio si è trasformato nella principale ricchezza nelle mani delle transnazionali yankee; attraverso questa fonte di energia hanno potuto disporre di uno strumento che ha accresciuto considerevolmente il loro potere politico nel mondo. Fu la loro principale arma quando decisero di liquidare con facilità la Rivoluzione Cubana non appena vennero promulgate le prime leggi giuste e sovrane nella nostra patria: privarla del petrolio.

Su questa fonte di energia si è sviluppata la civiltà attuale. Il Venezuela è stata la nazione di questo emisfero a pagarne il maggior prezzo. Gli Stati Uniti si fecero padroni degli enormi giacimenti di cui la natura aveva dotato questo paese fratello.

Alla fine dell'ultima Guerra Mondiale si iniziò ad estrarre dai giacimenti dell'Iran, come pure da quelli dell'Arabia Saudita, dell'Iraq e dei paesi arabi situati vicino a quelli, sempre più rilevanti quantità di petrolio. Il consumo mondiale è aumentato progressivamente fino alla favolosa cifra di circa 80 milioni di barili al giorno, compresi quelli che si estraggono nel territorio degli Stati Uniti, a cui si sono ulteriormente sommati il gas, l'energia idraulica e quella nucleare. Fino all'inizio del XX secolo il carbone era stato la fonte fondamentale di energia che aveva reso possibile lo sviluppo industriale, prima che si producessero migliaia di milioni di automobili e motori consumatori di combustibile liquido.

I rifiuti del petrolio e del gas sono associati a una delle maggiori tragedie, assolutamente non risolta, che soffre l'umanità: il cambiamento climatico.

Quando la nostra Rivoluzione vide la luce, l'Algeria, la Libia e l'Egitto non erano ancora produttori di petrolio e gran parte delle sostanziose riserve di Arabia Saudita, Iraq, Iran ed Emirati Arabi dovevano ancora essere scoperte.

Nel dicembre del 1951 la Libia si trasforma nel primo paese africano a conquistare l'indipendenza dopo la Seconda Guerra Mondiale, in cui il suo territorio fu scenario di importanti combattimenti tra le truppe tedesche e quelle del Regno Unito, che diedero fama ai generali Erwin Rommel e Bernard L. Montgomery.

Il 95% del suo territorio è totalmente desertico. La tecnologia ha permesso di scoprire importanti giacimenti di petrolio leggero di eccellente qualità che oggi raggiungono un milione 800 mila barili al giorno e abbondanti depositi di gas naturale. Tale ricchezza le ha permesso di ottenere un'aspettativa di vita che raggiunge quasi i 75 anni, e le più alte entrate pro capite dell'Africa. Il suo arido deserto è ubicato su un enorme lago di acqua fossile, equivalente a più di tre volte la superficie di Cuba, che le ha reso possibile costruire un ampia rete di tubature di acqua dolce che si estende per tutto il paese.
La Libia, che aveva un milione di abitanti al momento dell'indipendenza, ne conta oggi più di 6 milioni.

muammar_al-gaddafi-30112006 La Rivoluzione Libica avvenne nel mese di settembre del 1968. Il suo principale dirigente era Muammar-al-Gheddafi, militare di origine beduina, che nella sua prima gioventù si ispirava alle idee del leader egiziano Gamal Abdel Nasser. Non c'è dubbio che molte delle sue decisioni siano da collegarsi ai cambiamenti che si produssero quando, come in Egitto, una monarchia debole e corrotta venne rovesciata in Libia.

Gli abitanti di questo paese hanno millenarie tradizioni guerriere. Si dice che gli antichi libici facevano parte dell'esercito di Annibale quando fu sul punto di liquidare l'antica Roma con la forza che attraversò le Alpi.

Si potrà essere o no d'accordo con Gheddafi. Il mondo è stato invaso da ogni tipo di notizia, specialmente con l'impiego dei mezzi di informazione di massa. Si dovrà aspettare il tempo necessario per conoscere in modo rigoroso quanto ci sia di verità o di menzogna, o il groviglio dei fatti di ogni tipo che, in mezzo al caos, si sono prodotti in Libia. Ciò che per me è assolutamente evidente è che il governo degli Stati Uniti non è assolutamente preoccupato per la pace in Libia, e non esiterà a dare alla NATO l'ordine di invadere questo ricco paese, forse nel giro di poche ore o di pochissimi giorni.

Coloro che con perfide intenzioni hanno inventato la menzogna secondo cui Gheddafi si sarebbe diretto in Venezuela, come hanno fatto la sera di domenica 20 febbraio, hanno ricevuto oggi una degna risposta dal Ministro delle Relazioni Estere del Venezuela, Nicolas Maduro, quando ha dichiarato testualmente che esprimeva “l'auspicio che il popolo libico trovi, nell'esercizio della sua sovranità, una soluzione pacifica alle sue difficoltà, che preservi l'integrità del popolo e della nazione libica, senza l'ingerenza dell'imperialismo...”

Per parte mia, non immagino il presidente libico che abbandona il paese, eludendo le responsabilità che gli vengono addossate, siano o no false in parte o nella loro totalità.

Una persona onesta sarà sempre contro qualsiasi ingiustizia venga commessa con qualsiasi popolo del mondo, e la peggiore, in questo momento, sarebbe quella di stare in silenzio davanti al crimine che la NATO si prepara a commettere contro il popolo libico.
La dirigenza di questa organizzazione bellicista ha fretta di compierlo. E' doveroso denunciarlo!

Fidel Castro Ruz


da www.cubadebate.cu del 22/02/2011 & l'Ernesto

Unimondo: “Ecco perché l’Italia non revoca la fornitura di armi alla Libia”

L’analisi di Giorgio Beretta: “Il silenzio italiano è motivato dagli affari siglati dalle industrie militari italiane con il colonnello Gheddafi, a cominciare dalle controllate di Finmeccanica”

MILANO – Perché l'Italia, a differenza di Francia e Gran Bretagna, non ha ancora revocato la fornitura di armi alla Libia? Una domanda a cui prova a rispondere Giorgio Beretta della Ong Unimondo, in un articolo pubblicato oggi sul sito unimondo.org. Secondo Beretta, il silenzio italiano è motivato dagli affari siglati dalle industrie militari italiane con il colonnello Gheddafi, “a cominciare dalle controllate di Finmeccanica”, tra cui Agusta Westland (elicotteri, anche da guerra), Alenia Aermacchi (aerei da combattimento) e Mbda (sistemi missilistici).

Secondo le relazioni annuali della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni militari, citate da Unimondo, dal 2006 al 2009 le controllate di Finmeccanica in Libia hanno venduto elicotteri militari, aerei, dispositivi per l'ammodernamento di aeromobili, ricambi, servizi di addestramento e persino missili (attraverso la Mbda, partecipata al 25% da Finmeccanica, ndr), per un totale di oltre 164 milioni di euro. Non solo: la holding italiana, partecipata al 32,5% dal Ministero dell’Economia, ha come secondo azionista proprio la Lybian Investment Authority, l’autorità governativa libica che detiene una quota del 2,01%, “quota che Gheddafi mira ad espandere fino al 3% del capitale per imporre nel consiglio di amministrazione alcuni dei suoi uomini fidati e che comunque già adesso le permetterebbe di eleggere fino a quattro delegati”, spiega Beretta.

Anche le voci minori in apparenza minori, secondo Beretta, devono destare preoccupazione, come i 2,2 milioni di euro spesi in “ricambi e addestramento” per i velivoli F260W della Alenia Aermacchi, di cui la Libia possiede circa 250 esemplari. Questi aerei, “che in Europa vengono utilizzati come addestratori, in Africa e America latina sono spesso impiegati come bombardieri”, scrive Beretta, citando un articolo di Enrico Casale apparso sulla rivista Popoli. Secondo il giornalista del mensile dei Gesuiti, nel luglio 2009 Finmeccanica e la Libyan Investment Authority hanno stretto ulteriormente i loro rapporti siglando l'impegno a creare una nuova joint-venture (con capitale di 270 milioni di euro) attraverso la quale gestiranno investimenti industriali e commerciali in Libia, ma anche in altri Paesi africani. A cominciare da un accordo siglato da Selex Sistemi Integrati, società controllata da Finmeccanica, e dal governo libico: un contratto del valore di 300 milioni di euro che consentirà la creazione di un sistema di “protezione e sicurezza” dei confini meridionali della Libia per frenare l'immigrazione.

“Forse anche per questo il ministro Frattini è in difficoltà ad intervenire quando sente parlare di sanzioni contro il leader libico -chiosa Beretta-. Gli andrebbe ricordato che la legge 185 del 1990 e la Posizione comune dell’Unione europea sulle esportazioni di armamenti chiedono di accertare il 'rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di detto paese' e di rifiutare le esportazione di armamenti 'qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna'”. Proprio per evitare questo tipo di utilizzo, Francia, Germania e Regno Unito hanno deciso nei giorni scorsi di sospendere le esportazioni militari a diversi paesi, tra cui la Libia. Info: www.unimondo.org (ar)
Cfr: Redattore Sociale

Roma/Bimbi rom: Manconi presenta esposto contro Gianni Alemanno; “Omicidio colposo”

incendio_baraca_muoiono_bimbi_rom_roma_alemmano Roma - “Questa mattina ho presentato alla procura di Roma un esposto per denunciare il sindaco Alemanno per l'omicidio colposo dei bimbi Rom morti durante l'incendio di una baracca nella capitale”. Così il presidente dell'associazione “A buon diritto” ed ex senatore Luigi Manconi, a margine di una conferenza stampa alla Camera dei deputati.

Mano nelle mani – Secondo la sintesi dell’esposto presentato, “Le circostanze a mia conoscenza inducono a ritenere che il sindaco di Roma – Gianni Alemanno - abbia omesso completamente lo svolgimento dei suoi doveri, tanto da prospettare che egli debba rispondere, ai sensi dell'art.40, dell'omicidio colposo dei bimbi morti nell'avvenimento tragico che ho indicato, essendo egli rimasto inerte nonostante fosse stato avvertito dei pericoli concretamente incombenti sugli abitanti di quell'insediamento abusivo”.

Le colpe dei genitori - Dal risultato dell'autopsia i quattro bimbi risultano morti per asfissia da monossido di carbonio. Nell'inchiesta avviata dalla magistratura sono indagati, per abbandono di minori, i genitori dei quattro bimbi. Al vaglio del magistrato c'è anche la posizione della sorella maggiore dei bimbi alla quale, sembra, fosse stata affidata la custodia dei quattro fratellini e che al momento dell'incendio si era allontanata per procurarsi dell'acqua.

Oriana Fallaci 1979: Intervista con Colonnello Gheddafi, “Hitler e Mussolini sfruttavano le masse”

Pubblichiamo una sintesi dell’intervista al colonnello Gheddafi realizzata da Oriana Fallaci e uscita sul «Corriere della Sera» il 2 dicembre 1979. Il testo è tratto dalla seconda parte della conversazione, in cui Gheddafi si soffermava sulla sua politica e rispondeva alle accuse di appoggio al terrorismo che gli venivano rivolte. La prima parte riguardava invece la crisi degli ostaggi americani fatti prigionieri dagli iraniani nell’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran, perché il colonnello libico si era offerto all’epoca per un’opera di mediazione. Sulla base degli appunti di quello stesso incontro con Gheddafi, la Fallaci pubblicò un’altra intervista sul «Corriere» il 20 aprile 1986, poco dopo il bombardamento di Tripoli da parte americana

Colonnello, ho l'impressione che il suo odio per l'America e per gli ebrei sia in realtà odio per l'Occidente. Proprio come nel caso di Khomeini. Si rende conto che di questo passo si torna indietro di mille anni, si ricomincia con Saladino e le Crociate?

«Sì e la colpa è vostra: degli americani, dell'Occidente. Anche allora fu vostra, dell'Occidente. Siete sempre voi che ci massacrate. Ieri come oggi».

Ma chi vi massacra, oggi, dove?
«Fu la Libia a invadere l'Italia o fu l'Italia a invadere la Libia? Ci aggredite ora come allora. In altro modo, con altri sistemi e cioè sostenendo Israele, opponendovi all'unità araba e alle nostre rivoluzioni, guardando in cagnesco l'Islam, dandoci dei fanatici. Abbiamo avuto fin troppa pazienza con voi, abbiamo sopportato fin troppo a lungo le vostre provocazioni. Se non fossimo stati saggi, saremmo entrati mille volte in guerra con voi. Non l'abbiamo fatto perché pensiamo che l'uso della forza sia l'ultimo mezzo per sopravvivere e perché noi siamo sempre dalla parte della civiltà. Del resto, nel Medioevo, siamo stati noi a civilizzarvi. Eravate poveri barbari, creature primitive e selvagge...».

...e piangevamo invocando la luce della sua civiltà.

«Sì, la luce della nostra civiltà. La scienza di cui ora gioite è quella che vi abbiamo insegnato noi, la medicina con cui vi curate è quella che vi abbiamo dato noi. E così l'astronomia che sapete, e la matematica, la letteratura, l'arte...».

Davvero?!?

«Sì, perfino la vostra religione viene dall'Oriente. Cristo non era romano».

Era ebreo. Questa è una gaffe. Colonnello, che ne pensa delle Brigate rosse?

«Penso... penso che questi fenomeni dell'Occidente siano il risultato della società capitalistica, movimenti che esprimono il rifiuto di una società da abbattere. Questo sia che si chiamino Brigate rosse sia che si chiamino hippies o Beatles o Figli di Dio. E sebbene sia contro i sequestri di persona come contro il dirottamento degli aerei, non voglio interferire con quello che fanno».

Vedo. Ma non risponde all'accusa di aiutare le Brigate rosse.

«Si tratta di propaganda sionista, una propaganda che risale al periodo in cui il mondo non ci capiva ed eravamo ancora una repubblica. Ora siamo una Jamahiriya, cioè un congresso del popolo e...».

Ma che c'entra la Jamahiriya! Riformulo la domanda: Colonnello, da dove arrivano le armi sovietiche che puntualmente vengono trovate in possesso dei brigatisti e dei loro associati? Non sarà che una parte delle armi da lei fornite ai palestinesi si spostano altrove?

(Cercando le parole) «Ciò... ciò... ciò che lei dice non mi farà esitare un attimo dall'aiutare i palestinesi».

Colonnello, non cambi le carte in tavola per cortesia. E segua il mio ragionamento: supponiamo che lei, in buona fede, consegni le armi ai palestinesi i quali le forniscono di rimando alle Br...

«Non siamo responsabili dell'uso che può essere fatto delle armi che diamo ai palestinesi. Noi le diamo ai palestinesi perché crediamo nella loro causa e riteniamo doveroso aiutarli. Quel che succede dopo non mi riguarda. Se devo essere condannato indirettamente, preferisco le accuse dirette. Ma non ci sono prove».

Forse ci sono indizi. Eccone uno. Pochi giorni prima dell'assassinio di Moro lei offrì il suo intervento per salvargli la vita. Se non ha, non aveva contatti con le Brigate rosse, come poteva dirsi in grado di salvargli la vita?

«Dissi alle autorità italiane che se avevano bisogno di una cooperazione da parte nostra, noi eravamo pronti. Se fossimo stati in contatto con le Brigate rosse gli avremmo salvato senz'altro la vita perché Moro era nostro amico, era sostenitore della causa araba».

E va bene, passiamo a un altro argomento. Colonnello, ma come fa a essere così comprensivo coi terroristi, giudicarli fenomeno di una società da abbattere e poi mantenere ottimi rapporti con gli esponenti più rappresentativi di quella società da abbattere? A parte gli affari che fa con gli americani, pensi a quelli che fa con Gianni Agnelli.

«Gianni chi?».

Gianni Agnelli. Il presidente della Fiat.

«La Fiat? La mia azienda, my company!»

Sì, la sua azienda, la sua company. La Fiat. Agnelli.

«Non lo conosco».

Non conosce Agnelli, il suo socio?!?

«No, non è affar mio conoscerlo. È una faccenda che riguarda i miei funzionari, gli impiegati della mia banca. La Lybian Foreign Bank».

Davvero lei non sa chi è Agnelli, il suo socio?

«No, non lo so».

Mai visto la sua fotografia? Mai udito il suo nome?

«Mai. Non mi interessa, non mi riguarda. Ho altre cose da fare, io, che conoscere i nomi dei miei soci o della gente che appartiene al mondo delle banche».

Ma, a parte finanziare il terrorismo mondiale, che ne fa di tutti quei soldi che guadagna col petrolio?

«Ho già detto...».

Sì, ha già detto che l'accusa non è suffragata da prove. Quindi chiedo scusa e mi correggo: che ne fa di tutti quei soldi, a parte i miliardi che impiega alla Fiat e i terreni che compra e i regali a Malta?

«Noi non compriamo terreni, facciamo investimenti in certi Paesi attraverso la nostra banca estera. Investimenti commerciali. Quanto a Malta è un Paese amico perché è un Paese liberato e neutrale e quei soldi non li diamo al governo di Malta: li diamo al popolo di Malta affinché allarghi il campo della libertà e della neutralità. Del resto non siamo mica soltanto noi libici ad aiutare Malta. Tanti altri aiutano Malta».

E va bene, parliamo della rivoluzione. Ma cosa intende per rivoluzione? Come non mi stancherò mai di ricordare, anche Papadopulos parlava di rivoluzione. Anche Pinochet. Anche Mussolini.

«La rivoluzione è quando le masse fanno la rivoluzione. La rivoluzione popolare. Ma anche se la rivoluzione la fanno gli altri a nome delle masse esprimendo ciò che vogliono le masse, può essere rivoluzione. Popolare perché ha l'appoggio delle masse e interpreta la volontà delle masse».

Ma quello che avvenne in Libia nel settembre del 1969 non fu mica una rivoluzione: fu un colpo di Stato. Sì o no?

«Sì, però dopo divenne rivoluzione. Io ho fatto il colpo di Stato e i lavoratori hanno fatto la rivoluzione: occupando le fabbriche, diventando soci anziché salariati, eliminando l'amministrazione monarchica e formando i comitati popolari, insomma liberandosi da soli. E lo stesso hanno fatto gli studenti, sicché oggi in Libia conta il popolo e basta».

Davvero? Allora perché ovunque posi gli occhi vedo soltanto il suo ritratto, la sua fotografia?

«Io che c'entro? È il popolo che vuole così. Io che posso fare per impedirglielo?».

Beh, proibisce tante cose, non fa che proibire, figuriamoci se non può proibire questo culto della sua persona. Per esempio, questo inneggiarla ogni momento alla televisione.

«Io che posso farci?».

Nulla. È che da bambina vedevo la stessa roba per Mussolini.

«Ha detto la medesima cosa a Khomeini».

È vero. Ricorro sempre a quel paragone quando intervisto qualcuno che mi ricorda Mussolini.

«Gli ha detto che le masse sostenevano anche Mussolini e Hitler».

È vero.

«Si tratta di un'accusa essenziale. E richiede una risposta essenziale. Questa: lei non capisce la differenza che c'è tra me e loro, tra Khomeini e loro. Hitler e Mussolini sfruttavano l'appoggio delle masse per governare il popolo, noi rivoluzionari invece beneficiamo dell'appoggio delle masse per aiutare il popolo a diventar capace di governarsi da solo.
«Io in particolare non faccio che appellarmi alle masse perché si governino da sole. Dico al mio popolo: "Se mi amate, ascoltatemi. E governatevi da soli". Per questo mi amano: perché, al contrario di Hitler che diceva farò-tutto-per-voi, io dico fate-le-cose-da voi».

Colonnello, visto che non si considera un dittatore, nemmeno un presidente, nemmeno un ministro, mi spieghi: ma lei che incarico ha? Che cos'è?

«Sono il leader della rivoluzione. Ah, come si vede che non ha letto il mio Libro Verde!».

Sì che l'ho letto, invece! Non ci vuole mica tanto. Un quarto d'ora al massimo: è così piccino. Il mio portacipria è più grande del suo libretto verde.

«Lei parla come Sadat. Lui dice che sta sul palmo di una mano».

Ci sta. Dica: e quanto ci ha messo a scriverlo?

«Molti anni. Prima di trovare la soluzione definitiva ho dovuto meditare molto sulla storia dell'umanità, sui conflitti del passato e del presente».

Davvero? E com'è giunto alla conclusione che la democrazia è un sistema dittatoriale, il Parlamento è un'impostura, le elezioni un imbroglio? Vi sono cose che non mi tornano in quel libriccino.

«Perché non lo ha studiato bene, non ha cercato di capire cos'è la Jamahiriya. Lei deve sistemarsi qui in Libia e studiare come funziona un Paese dove non c'è governo né Parlamento né rappresentanza né scioperi e tutto è Jamahiriya».

Che vuol dire?

«Comando del popolo, congresso del popolo. Lei è proprio ignorante».

E l'opposizione dov'è?

«Che opposizione? Che c'entra l'opposizione? Quando tutti fanno parte del congresso del popolo, che bisogno c'è dell'opposizione? Opposizione a cosa? L'opposizione si fa al governo! Se il governo scompare e il popolo si governa da solo, a chi deve opporsi: a quello che non c'è?».

Oriana Fallaci/Corriere della Sera

Prezzo metalli preziosi 2011: Oro stabile a 1.400 $, argento +7% al top marzo 1980

Roma - La crisi libica continua a sostenere i prezzi dei beni rifugio, considerati un approdo sicuro in presenza di tensioni geopolitiche ed anche in relazione al rialzo dei prezzi del petrolio (Brent a 106 dollari, top dei 29 mesi) che alimentano le aspettative inflazionistiche.

Le quotazioni future dell'oro si mantengono sui 1.400 dollari all'oncia, circa 32 dollari al di sotto del massimo storico toccato nella prima settimana di dicembre dello scorso anno. Al galoppo l'argento scambiato a 33,095 dollari l'oncia in rialzo del 7%, i prezzi viaggiano sui massimi dal 7 marzo 1980, anche allora si sommarono tensioni geopolitiche, la crisi degli ostaggi statunitensi in Iran e il secondo shock petrolifero: erano i tempi dell'iperinflazione.

Libia/Fiat: Romiti, Gueddafi entrò dopo ok Cia e Bankitalia

Cesare_Romiti_Libia_nella_fiat_gueddafi_nella_finanza_italiana Roma - "Venivano a Torino, partecipavano ai consigli, guardavano i bilanci e se ne andavano. Quando poi uscirono, nell'86, misurarono il loro affare: la Fiat era rinata, la Libia aveva guadagnato. E parecchio". Così Cesare Romiti, ex amministratore delegato del Lingotto, ricorda in un'intervista al Corriere della sera i dieci anni di rapporti con i libici in qualità di azionisti del gruppo. L'ingresso della Libia, spiega Romiti, è avvenuto dopo "lunghissime trattative, quasi due anni".

Dopo i primi segnali da Tripoli, ricorda, l'avvocato Agnelli "informò Bush senior, che allora era alla guida della Cia: ne ricevette una serie di raccomandazioni e il via libera. Poi, insieme andammo da Carlo Azeglio Ciampi: e ricevemmo la benedizione anche del Governatore della Banca d'Italia".

Così avvenne l'ingresso nell'azionariato della finanziaria Lafico, con due consiglieri che, precisa Romiti, "si sono sempre comportati come banchieri svizzeri". Con un'eccezione, e cioè quando i consiglieri libici nel Cda Fiat, dopo l'incidente di Ustica e la scoperta di un Mig libico caduto sulla Sila, fecero sapere che "dovevano recuperare i resti dell'aereo. E ci chiedevano una mano". Quanto alla situazione attuale, per Romiti la relazione fra Italia e Libia "ha certamente ecceduto i limiti dei rapporti tra due Stati", mentre sul futuro del paese dopo la rivolta, conclude Romiti, "forse sarà più facile imboccare la strada della democrazia".

Con Dowjones, Edz E24

lunedì 21 febbraio 2011

Libia nel caos total: In fiamme sede del governo e Tv di Stato a Tripoli

Mideast_Libya_Protests.sff.libia_nel-caos-Gueddafi_e_scapatto Tripoli, 21 feb - E' caos in Libia. A Tripoli la situazione sta peggiorando di minuto in minuto. I manifestanti hanno dato alle fiamme la sede centrale del governo a Tripoli e altre sedi istituzionali. Anche la tv di Stato e diverse stazioni di polizia sono state prese di mira e incendiate. Secondo il giornalista libico Nazar Ahmed, questa mattina la polizia e la sicurezza libica è completamente assente dal centro della capitale. Per questo i manifestanti hanno potuto assaltare oltre alla sede del governo e alla tv pubblica, anche altri uffici pubblici cittadini in particolare nella zona di al-Azizia. Secondo un testimone contattato dalla tv 'al-Jazeera' sono in fiamme anche le sedi governative che si trovano nella piazza 'al-Shuhada' della capitale.

Secondo 'al-Arabiya', la sede dell'emittente di stato è stata razziata. Secondo il sito informativo libico 'al-Manara', bande armate stanno circolando per il quartiere di al-Azizia a Tripoli, dove si trova la sede della tv pubblica e diversi palazzi istituzionali, oltre alla residenza del Colonnello. Queste bande starebbero assaltando e razziando gli uffici pubblici, approfittando dell'assenza della polizia. Gruppi armati hanno anche attaccato la caserma di al-Baraim, che dista 10 chilometri dal centro di Tripoli.

La Libia è a rischio guerra civile. Così nella notte, in un messaggio lanciato alla nazione alla tv, si è espresso Saif al Islam, il figlio di Muammar Gheddafi che - secondo al Jazeera', avrebbe lasciato il Paese. ''Siamo a un bivio - ha detto il figlio del Colonnello - la guerra civile tra le tribù con decine di migliaia di morti. Oppure l'avvio di un dialogo nazionale già da domani, in 48 ore".

Nel discorso Saif al Islam ha assicurato invece che il padre è in Libia, che ''non è un leader come Ben Ali o Mubarak'', ed è sostenuto dall'esercito. Ammette che le forze di sicurezza hanno commesso ''errori'' nel loro intervento contro la folla di manifestanti, perché, ha detto, non sono state addestrate a questo genere di operazioni, ma smentisce che siano state uccise oltre 200 persone a Bengasi nella violenta repressione delle proteste, cosi' come denunciato da fonti mediche e dell'opposizione. ''Combatteremo fino all'ultimo, fino all'ultima pallottola'', ha dichiarato, precisando che oggi si riunirà il Parlamento per discutere un ''chiaro'' programma di riforme e l'aumento dei salari. ''Dovremo definire una costituzione per il Paese'', ha aggiunto. Il Paese precipiterà in una situazione ''più grave di quella dell'Iraq'' se prosegue la violenza, ha ammonito, denunciando la presenza di ''elementi stranieri'' nel Paese, e di un piano per stabilire un ''emirato islamico'' in Libia.

Sempre a Tripoli 18 lavoratori asiatici sono rimasti feriti negli scontri registrati nella notte, dove un gruppo di rivoltosi armati ha attaccato un cantiere di una società della Corea del Sud. Lo ha riferito l'agenzia d'informazione 'Yonhap', citando un comunicato del ministero degli Esteri di Seul.

Mentre a Bengasi si terrà a breve una nuova manifestazione antigovernativa. Lo ha riferito un attivista libico in collegamento con la tv araba 'al-Jazeera', precisando che oggi nella città si terranno i funerali delle vittime degli scontri avvenuti ieri nei pressi della caserma dell'esercito. Secondo l'attivista, i manifestanti si riuniranno a via Jamal Abdel Nasser, nel quartiere di Al-barka a Bengasi.

La tribù degli al-Zawhiya, originaria dell'omonima città situata a 30 chilometri da Tripoli, ha annunciato il suo appoggio ai manifestanti. Lo ha riferito l'emittente satellitare 'al-Jazeera'. Ieri un'altra tribù, quelli degli al-Warfalla, considerata la più importante della Libia con circa un milione di membri, ha annunciato di essersi schierata con i manifestanti e contro Gheddafi. Lo sceicco Akram al-Warfalla, leader dell'importante clan, ha chiesto pubblicamente al colonnello di "lasciare il paese".

Dal canto suo Human Rights Watch, organizzazione internazionale che si occupa di diritti umani, parla di 223 morti negli ultimi cinque giorni di proteste. La maggior parte delle vittime si è registrata a Bengasi, nell'est del paese nordafricano. Secondo fonti dell'opposizione e ong indipendenti, le forze di sicurezza, tra cui sarebbro arruolati anche mercenari, avrebbero aperto il fuoco contro i manifestanti.

Con Agenzie: Adnkronos, Aki & Ign