venerdì 28 giugno 2013

ANGOLA 2013: Deutsche Bank, l’ANGOLA enorme potenziale ma ha bisogno di tempo

Luanda - Nei prossimi anni l'Angola potrebbe diventare il primo produttore di petrolio in Africa, superando così la Nigeria, la crescita economica si manterrà elevata specialmente quella nei settori non oil; tuttavia, gli investitori internazionali dovranno pazientare ancora per poter sfruttare l'enorme potenziale del mercato angolano. L'analisi è contenuta in un rapporto diffuso dal settore ricerche della Deutsche Bank (Db) sulla situazione del paese. "La produzione di petrolio dovrebbe raggiungere i 2 milioni di barili al giorno entro il 2015 - si legge nel rapporto - rispetto ai 1,75 di milioni del 2012. Guardando al lungo termine, se le riserve appena scoperte si riveleranno simili a quelle che si trovano in Brasile, l'Angola potrebbe diventare il più grande produttore di petrolio dell'Africa".

L'istituto di credito cita anche le altre risorse naturali del paese. "L'Angola è l'ottavo produttore mondiale di diamanti grezzi ed ha un notevole potenziale non sfruttato di rame, minerale di ferro, oro, fosfati e uranio - prosegue il rapporto - il Fondo sovrano da 5 miliardi di dollari lanciato nel mese di ottobre dovrebbe contribuire a isolare l'economia dalla volatilità dei prezzi del petrolio e se ben gestito, fornirà una solida base per la futura diversificazione economica". Fra gli altri provvedimenti positivi la Db segnala il "significativo aumento della spesa pubblica" deciso per il 2013 volto a "migliorare l'accesso all'istruzione superiore, sanità, igiene, acqua potabile e di un alloggio adeguato".

L'istituto di credito ricorda poi l'alto pil pro capite del paese (6mila dollari) e la crescita esponenziale che ha avuto dalla fine della guerra civile terminata nel 2002. Fra gli altri interventi positivi il rapporto cita i progressi registrati nei settori dell'energia e delle infrastrutture, le riforme per migliorare l'accesso al credito, gli incentivi fiscali per promuovere lo sviluppo industriale e l'intenzione del governo di emettere un eurobond pari a uno-due miliardi di dollari. "Tuttavia - prosegue - c'è una disparità di reddito molto alta: il 10% più ricco della popolazione detiene il 45% del reddito nazionale, mentre il 10% più povero detiene lo 0,6%". Riguardo agli investimenti stranieri la Db spiega che "fare affari in Angola rimane impegnativo in termini di infrastrutture e istituzioni.

Anche se l'inflazione sta rapidamente andando verso il basso Luanda e' la seconda città più cara al mondo per gli espatriati, secondo Mercer. Ci sono una serie di ragioni, tra cui la mancanza di concorrenza per molti prodotti, ad alta dipendenza dalle importazioni, le povere infrastrutture per il trasporto e l'alto livello dei salari del settore del petrolio". A complicare la situazione Db registra l'eccessiva burocrazia, la debolezza dei contratti, oltre alla percezione di inefficienza e corruzione delle strutture governative. "In un contesto di diversificazione economica, è una delle priorità del governo promuovere l'appello del paese agli investitori stranieri - conclude Deutsche bank - spesso lavorando con le controparti locali, in particolare attraverso gli investimenti pubblici e privati per i progetti pubblici strutturati ma dato il clima economico attuale, gli investitori avranno ancora bisogno di pazienza per poter sfruttare a pieno l'enorme potenziale del mercato angolano". (AGI) .

giovedì 27 giugno 2013

ITALIA POST CRISE 2013 | Start up, ponte di idee Napoli-San Francisco - «DAL VESUVIO ALLA SILICON VALLEY E RITORNO»

NAPOLI - Una nuvola di idee che provocherà, si spera, un temporale benefico: progetti da trasformare in imprese. Un «ponte» creativo tra Napoli e San Francisco per aiutare giovani ricercatori campani a sviluppare le iniziative più valide per affermarsi sul mercato. Di questo si è discusso oggi, a Napoli, in un incontro sulla competizione tra idee innovative «Dal Vesuvio alla Silicon Valley e ritorno» al Palazzo dell'innovazione e della conoscenza (Pico).

RETE INCUBATORI - All'evento collabora, attraverso Campania Innovazione, la Regione Campania nell'ambito della costituenda Rete Regionale degli Incubatori, prevista dalla Finanziaria 2013. Otto giovani ricercatori campani hanno presentato la propria business idea durante la «Start up Gym Session» dove i mentor della Mind the Bridge Startup school, insieme ai potenziali investitori, hanno avanzato proposte per migliorare.

IDEE VINCITRICI - Tre le idee vincitrici ci sono Epigenetic (Angela Nebbioso, Gianluca Franci, Lucia Netucci), Youareu (Fabio Decimo, Lilya Kolesmikana, Salvatore Fonzo) e Set Life (Adele Savarese, Lydia Galeno). A premiarli Campania Innovazione, Cesvitec (azienda speciale della Camera di Commercio di Napoli), Banco di Credito Cooperativo di Napoli che finanzieranno la loro partecipazione alla Startup Business School di Mind the Bridge a San Francisco, in autunno. Tra i partecipanti Fabrizio Perrone con Buzzoole «una piattaforma di social media advertising (leggi l'intervista) che consente alle imprese, grazie ad un algoritmo sviluppato e brevettato dalla start up, di identificare i social influencer del proprio settore all'interno di qualsiasi social media».

IL CONVEGNO - La giornata è stata introdotta da un convegno cui hanno preso parte il mondo della ricerca e innovazione (Cnr, Cesvitec), dell'impresa (Mind the bridge Foundation, Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese) della politica (gli assessori regionali alle attività produttive, Fulvio Martusciello, e alla ricerca, Guido Trombetti, il sindaco di Napoli Luigi de Magistris).

IL CONSOLE MOORE - Sull'importanza degli scambi tra Napoli e Usa si è soffermato il console generale degli Usa a Napoli Donald Moore che ha auspicato la nascita del «ponte» tra Vesuvio e Silicon Valley perchè «al Sud ci sono tante persone che hanno interesse all'innovazione e, al contempo, grandi energie per essere imprenditori».

DISTRETTI - A parlare di eccellenze con i sei distretti tecnologici è stato Trombetti per il quale «i distretti sono costituiti da 500 imprese di cui 350 piccole imprese e la piccola impresa dentro alla rete del sistema riesce a produrre innovazione».

BANDO DA 75 MILIONI - «Tra due settimane - ha reso noto Martusciello - avremo la possibilità di mettere a bando i 75 milioni di euro per le start up, frutto della politica che abbiamo messo in campo per il rifinanziamento dei fondi europei. Una prospettiva per creare occupazione».

Via|Corriere della Sera

mercoledì 26 giugno 2013

ANGOLA & ITALIA 2013 | Nuovo mercato per le imprese del legno arredo: Confindustria punta all'Angola

Pesaro (PU) - L’Angola come nuovo mercato di sbocco per le imprese pesaresi del settore del legno-arredo. E’ quanto emerso nel corso della visita a Pesaro del presidente dell’Anima, l’associazione angolana dell’industria del legno, Josè Verissimo, promossa da Amos Benevelli, che da anni opera con successo in quel Paese.
Nel corso del 2012, le imprese pesaresi hanno esportato complessivamente prodotti per 1,4 milioni di euro (+2% rispetto all’anno precedente), dei quali 383 mila euro provenienti dal legno-arredo, che è il settore che ha registrato l’exploit più significativo (+20%).
“In valore assoluto, si tratta di cifre ancora piccole – ha spiegato Filippo Antonelli, presidente del Gruppo Mobile di Confindustria Pesaro Urbino –, ma quel che salta agli occhi è il trend positivo: l’Angola, infatti, al contrario di quanto si possa immaginare, viaggia a una crescita del Pil che sfiora il 10% e ha un mercato immobiliare galoppante: significa spazio utile per le nostre aziende”.
Non a caso, la visita di Verissimo, che guidava una delegazione di imprenditori angolani, era mirata alla conoscenze diretta del nostro distretto industriale e a valutare concretamente la possibilità di collaborare con il tessuto imprenditoriale locale. E i primi risultati non si sono fatti attendere: gli imprenditori angolani hanno proposto lo sviluppo congiunto di progetti con il distretto pesarese, due dei quali – con il Gruppo Biesse e con Iterby – sono stati definiti e siglati in occasione della visita; altri sono da avviare, visto che il governo angolano sta cofinanziando lo sviluppo del settore legno-arredamento, anche attraverso la creazione di industrie di produzione di porte e finestre, parquet, di mobili, ed altri prodotti connessi, oltre che di falegnamerie e scuole di formazione.
“Le opportunità che si presentano per le imprese pesaresi – ha spiegato Benevelli - riguardano sia la vendita di macchinari e tecnologie, che di semilavorati e componenti da montare in loco, ma anche di prodotti finiti che, per la fascia alta di mercato, hanno già iniziato ad essere presenti in Angola”. A Palazzo Ciacchi, il presidente Verissimo ha firmato, per conto di Anima, un protocollo di intesa con Confindustria Pesaro Urbino, che – come ha spiegato Filippo Antonelli – “prevede collaborazioni reciproche, da parte nostra sul fronte delle tecnologie, da parte loro come supporto alla commercializzazione dei nostri prodotti finiti, semilavorati e componentistica sul territorio angolano”.

Via|fanoinforma.it

martedì 25 giugno 2013

COOPERAZIONE ITALIA & ANGOLA 2013 | Biancofiore, italiani potrebbero trovarci l'America in Angola

Luanda, 25 giu. - Afferma che in Angola ci potrebbe essere una strada per far si' che le aziende italiane ricomincino a crescere, il sottosegretario alla Pubblica Amministrazione, Micaela Biancofiore, in visita a Luanda dove nei giorni scorsi ha partecipato alla Conferenza internazionale di cooperazione per il bacino atlantico. "Credo che gli italiani potrebbero trovare l'America in Angola e viceversa gli angolani potrebbero trovare l'America in Italia - ha detto all'Agi Biancofiore - dove potrebbero incontrare un parterre di relazioni inusuali perche' l'Italia e' veramente un paese che ama donarsi agli altri"."Gli angolani sono molto simili agli italiani - ha proseguito il sottosegretario - sono solari, gioviali, ma hanno a differenza degli italiani e degli europei, la fame di voler crescere e quindi hanno forse anche loro qualcosa da dare a noi. Papa Francesco dice di non farci rubare la speranza. Ecco, gli angolani possono ridarci la speranza di poter ancora crescere e dare ancora il meglio di noi perche' non dimentichiamo che l'Italia e' l'eccellenza nel mondo".
  Riguardo alle possibilita' per gli imprenditori italiani di portare avanti investimenti in questo paese Biancofiore ha aggiunto: "l'ambasciata italiana e' impegnata da anni ad aprire loro la strada e lo fa attraverso l'ambasciatore Mistretta che e' uno dei nostri migliori ambasciatori. Non e' un caso che gia' 4 anni fa e' stata aperta questa strada dal ministro Frattini e non e' un caso che il mese prossimo torni per battere questa strada importantissima per gli imprenditori anche il ministro Bonino". L'Angola, secondo produttore di petrolio in Africa, ha subito 27 anni di guerra civile, terminata nel 2002. Negli ultimi dieci anni ha avuto crescite economiche annuali attorno al 7%. (AGI) .

COOPERAZIONE ITALIA ANGOLA | Eni vende al Brasile il gas prodotto in Angola

Eni & C hanno iniziato a vendere il gas prodotto in Angola dalla joint venture Angola Lng, partnership che vede il Cane a sei zampe tra gli azionisti col 13,6% assieme ai padroni di casa di Sonangol (22,8%), Chevron (36,4%), Bp (13,6%) e Total (13,6%). Il primo cargo, con un carico di 160 mila metri cubi di gas, è partito in questi giorni alla volta del Brasile, diretto agli impianti di Petrobras. Secondo il ceo di Angola Lng, Artur Pereira, il debutto della jv è avvenuto in un momento in cui il mercato del gas naturale liquefatto offre buone prospettive.

La partnership, secondo fonti di mercato, ha un orizzonte temporale garantito di almeno 30 anni, con una media di 5,2 milioni di tonnellate annue di gas. L'Angola è uno dei Paesi di riferimento per Eni ed è tra i maggiori produttori di petrolio dell'Africa. Nel corso dell'anno gli avvii e l'entrata a regime dei giacimenti angolani (assieme a quelli russi ed egiziani) hanno compensato i declini di produzioni mature. In particolare, nel blocco offshore 15/06 (Eni 35%) il gruppo sta sviluppando il giacimento di Vandumbu con un potenziale produttivo di oltre 5 mila di barili di petrolio al giorno.

Via|IO

venerdì 14 giugno 2013

ECONOMIA ANGOLANA | Luanda ospita conferenza internazionale diamanti

I diamanti nel mondo

LUANDA - Si terrà il 20 e 21 giugno a Luanda la Conferenza internazionale sull'industria diamantifera del 2013 che celebrerà i cento anni dalla scoperta della prima pietra preziosa in Angola avvenuta nel 1913 grazie a un esploratore belga. All'incontro parteciperanno il presidente del Consiglio mondiale dei diamanti e dell'Associazione internazionale delle industrie diamantifere, oltre ai presidenti delle borse di diamanti di Dubai, Bombay e Shangai.
L'Angola nei mesi scorsi ha annunciato l'avvio delle esplorazioni in varie miniere di diamanti anche nell'ottica della diversificazione economica che punta a creare altri settori produttivi oltre a quello petrolifero. La produzione diamantifera dell'Angola fra il 2008 e il 2009 ha sofferto la crisi internazionale che ha colpito tutti i mercati. Tuttavia gli scambi hanno ripreso fiato l'anno scorso quando la produzione di queste pietre è stata di 8,3 milioni di carati, pari ad un valore di 1,3 miliardi di dollari. Secondo le stime del governo la produzione per il 2013 potrebbe salire fino a 9 milioni di carati che corrisponderebbero a incassi pari a 1,5 miliardi di dollari.

DA LEGGERE | “Noi abbiamo già vinto”. Lettera di un giovane turco al suo Paese

Con i ragazzi turchi

Nelle ultime settimane ho parlato con molti ragazzi turchi: ho ascoltato i loro racconti, guardato foto e video che mi mandavano, chiacchierato con loro in chat. Ho raccolto la loro speranza e la loro rabbia, cercando di capirle e farle passare in un articolo. Poi, quando arrivano email come questa, la sintesi giornalistica appare di colpo inutile: allora ti rendi conto che un’email così non la puoi tagliare, che l’unica cosa da fare è tradurla il più fedelmente possibile per non perdere neanche una parola. Perché ogni frase parla da sola, e quella che era la testimonianza di un ragazzo, si è trasformata in una dichiarazione d’amore per la sua gente e il suo Paese. Ecco la lettera:

Sto cercando di seguire i media internazionali dall’inizio della Resistenza turca, ma non penso che ci sia sufficiente copertura da parte dei mezzi di comunicazione su questi quesiti: “Chi sono?” e “Cosa stanno cercando di fare?”. Non posso prendermela con loro, persino la maggior parte dei miei amici che resiste insieme a me non riesce a capire con chiarezza quello che sta succedendo.

Ciò che sta accadendo adesso in Turchia non è mai accaduto prima nella storia recente. Stiamo resistendo pacificamente a un primo ministro fascista e alla brutale violenza della polizia. Non abbiamo pistole, l’1% di noi butta pietre a forze di polizia completamente armate e il restante 99% cerca di fermare quelli che lo fanno. Il 90% della folla non ha mai supportato un partito politico nella sua vita, la maggior parte di loro non ha mai trovato un candidato alle elezioni capace di rappresentarli. Non ho sentito un solo slogan antireligioso durante gli eventi. C’è solo uno slogan diretto verso il governo, semplicemente “Governo, dimettiti!”. Lo gridiamo costantemente e per lo più verso una persona: Recep Tayyip Erdogan. Non vogliamo liberarci di un governo che è stato eletto in una elezione regolare e democratica, anche se l’opinione pubblica pensa che sia un governo oppressivo e restrittivo. Sappiamo quello che non ci piace e siamo scesi per strada per dimostrare pacificamente che quando è troppo, è troppo. La vasta maggioranza di noi è stata molto brava a moderarsi, siamo stati molto attenti a non superare la linea – rispondendo alla violenza con violenza – perché non vogliamo che la nostra causa venga screditata. La nostra volontà di non abbassarci e cadere in una violenza senza scopo è di massima importanza, specialmente quando si lotta contro un governatore tiranno narcisista e crudele. Dato che la sua amministrazione è stata accreditata dai media occidentali come un’era di sviluppo economico e stabilità politica senza precedenti, Erdogan è diventato un egomaniaco, pensa di essere intoccabile e spesso agisce in diretta opposizione alla nostra Costituzione secolare. Ha perso la sua capacità di ascoltare e pensa di avere un enorme esercito che lo supporti qualunque cosa accada.

Detto questo, la situazione è completamente differente rispetto alla “primavera araba”. Non siamo contro un governo corrotto (anche se è corrotto). Non si tratta di soldi, anche se non siamo una nazione ricca. Abbiamo il doppio del Pil procapite rispetto a Egitto o Tunisia. E non è come Occupy Wall Street, anche se neanche il “sistema” ci piace. È qualcosa di completamente diverso, completamente nuovo al mondo. Questa non è una rivoluzione. Questo è un movimento di resistenza da parte della popolazione verso una persona che spezza il loro cuore, che sfrutta il loro senso dell’onore, che pensa di poter comandare le loro vite. Questo è un movimento di resistenza verso le forze di polizia, che usano una forza brutale verso persone che protestano suonando la chitarra e leggendo libri. Questa è una folla intelligente e istruita. Le cose che le persone condividono sui social media o intonano per strada sono argute e spesso molto divertenti dato che – per fortuna – abbiamo un gran senso dell’ironia. Il governo sembra volervi prendere parte rilasciando dichiarazioni ridicole come questa: “Non abbiamo chiuso i social media durante questi eventi, e ciò mostra chiaramente quanto siamo democratici”.

C’è un video in cui mi si vede (con la maglia del Celtic) lanciare un lacrimogeno indietro da dove era arrivato, prima che potesse far male alle persone. Non mi ha fatto quasi niente perché avevo una maschera antigas e i guanti. Ho visto un sacco di persone, incluse tante giovani donne, fare la stessa cosa senza maschera e senza guanti. È un coraggio che non ho mai visto prima e che probabilmente non rivedrò mai più. È un movimento per il quale nessuno era preparato. Né gli Usa, né il Regno Unito l’hanno preparato o riescono a capirlo. Non vogliamo che loro prendano parte nella nostra resistenza. Sappiamo quello che hanno fatto al nostro Paese per decenni e non vogliamo prendere i loro soldi o essere intrappolati nelle loro battaglie per il potere nell’Est.

Questo è un movimento senza una testa, senza un leader. Il legame tra le persone è ciò che dà slancio al movimento. In altre parole, questa è una resistenza senza pistole e leader ma con intelligenza, istruzione, humor e un gran cuore. La cosa positiva è che abbiamo già guadagnato enorme terreno, e questo la maggior parte delle persone – compresi i miei amici – non lo capisce. Le persone pensano ancora in termini di voti, partiti e leader per cui votare. Sono pessimiste, pensano che non cambierà niente e che tutto tornerà normale nel giro di una settimana. Questo è esattamente quello che ha pensato Erdogan dall’inizio. Questo è quello che lui e i miei amici non hanno capito. Noi abbiamo già vinto perché:

- siamo incredibilmente forti perché uniti contro un nemico comune – qualcuno che ci umilia costantemente;

- le persone imparano l’unità e la cooperazione non sui libri di sinistra ma scendendo in strada insieme;

- ci sono tante persone che amano e sono orgogliose del proprio Paese per la prima volta nella loro vita;

- vediamo che possiamo resistere alla forza brutale solo con i nostri cervelli e i nostri cuori.

La sensazione di questa vittoria è fantastica. Ho lasciato la Turchia 7 anni fa per andare negli Stati Uniti, andando via da una nazione in declino per poi tornarci 5 anni più tardi, perché mi mancavano le 10 persone di cui mi importava. Ora per la prima volta nella mia vita amo più di 10 persone. Sono innamorato di tutte le persone per strada. Per la prima volta nella mia vita sono orgoglioso di essere un cittadino turco ed è una sensazione meravigliosa, indescrivibile a parole. Lavoro come direttore creativo in una agenzia con base a Londra e venerdì mattina stavo lavorando sul sito di una lussuosa compagnia di viaggi. Sabato stavo lanciando indietro verso la polizia candelotti di gas lacrimogeni per proteggere le persone che amo. La settimana scorsa avevo paura che la Turchia sarebbe stata regolata dalla Sharia come l’Iran, ora sto pensando a come possiamo diventare una nazione democratica e civile come la Svezia. Sabato mia madre mi ha pregato di non partecipare alle proteste, ieri ha preso i miei occhialini da nuoto per unirsi lei stessa alle proteste.

Questo è un cambiamento grande, unico. La cultura in Turchia sta cambiando poco a poco e ci vorrà del tempo perché la gente lo capisca. Alla fine la maggior parte delle persone lo capirà e chi non lo capirà resterà indietro. Noi siamo cresciuti, e ora è tempo per la nostra nazione di fare lo stesso.

Saluti,

Cagri T. | Di Claudia Bruno di Lettere Vive

giovedì 13 giugno 2013

RAZZISMO CRIMINALE LEGHISTA | «Perché nessuno stupra la Kyenge?» Dolores Valandro

«Perché nessuno stupra la Kyenge?» Dolores Valandro

PADOVA - «Ma mai nessuno che se la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato reato? Vergogna». L’invito choc è di Dolores Valandro, consigliere leghista di quartiere a Padova, ed è rivolto al ministro per l’Integrazione Cècile Kyenge. La frase della Valandro, vice coordinatrice della commissione sanità, interventi sociali e politiche giovanili è comparsa sulla sua bacheca Facebook, accompagnando un articolo preso da un sito specializzato nel raccontare «i crimini degli immigrati». Dichiarazioni che stanno già facendo il giro della Rete, scatenando l’indignazione di molti utenti. Valandro si era appena vista annullare la «sospensione» dai probiviri della Lega Veneta per i tafferugli con contestazione a Flavio Tosi successi a Pontida. Proprio lunedì scorso il ministro Kyenge era stato in visita in città: una giornata nella quale aveva avuto l’occasione di incontrare una rappresentanza dei ragazzi del liceo Cornaro e riceverne le scuse per quanto successo all’indomani della sua nomina, con una scritta razzista comparsa sui muri dell’istituto. Dolores «Dolly» Valandro con la sua scritta pubblica rischia anche di finire in tribunale, come successe al consigliere comunale Vittorio Massimo Aliprandi, condannato dai giudici patavini per alcune scritte che «istigavano alla violenza» nei confronti dei Rom.

LE REAZIONI - Nel frattempo arrivano le prime reazioni. «Mi dissocio nella maniera più totale dalla frase violenta, stupida e inopportuna scritta dalla consigliera di quartiere di Padova Dolores Valandro su Facebook nei confronti del ministro Kyenge. Si tratta di una sua personale iniziativa che non è condivisa dal Movimento. Prenderemo immediatamente provvedimenti disciplinari nei confronti della Valandro e personalmente le ho già chiesto comunque di rimuovere questa scritta dal suo profilo e di chiedere scusa». Così Massimo Bitonci, capogruppo veneto della Lega Nord al Senato e segretario della sezione di Padova dove è iscritta Valandro. «Sono fuori di me, incazzato nero – afferma Roberto Marcato, segretario provinciale della Lega Nord a Padova – non c’è nessuno attenuante per quanto ha fatto la Valandro: è fuori dal partito. Voteremo la sua espulsione in segreteria provinciale. A Padova non c’è posto per persone razziste e violente, su questo rimarremo sempre intransigenti. Non ho parole per definire quanto fatto da Valandro». Anche la Cgil di Padova esprime in una nota «sconcerto e profonda amarezza rispetto alle dichiarazioni fatte dalla consigliera del quartiere Padova Nord Dolores Valandro nei confronti della ministra Kyenge. Condanniamo con forza queste dichiarazioni xenofobe e violente, a maggior ragione in quanto provenienti da chi dovrebbe rappresentare le cittadine e i cittadini ricoprendo cariche istituzionali. Chiediamo quindi le dimissioni dagli incarichi ricoperti dalla consigliera coinvolta». «Esprimiamo - conclude la Cgil - tutta la nostra solidarietà alla Ministra che la città di Padova, proprio nei giorni scorsi, ha avuto l'onore di accogliere con partecipazione, coinvolgimento e grande apprezzamento per il lavoro politico che sta portando avanti». Le dimissione e le scuse della Valandro vengono chieste unanimemente dal mondo della politica e del sociale padovano, città «colpita» dall’uscita di Valandro proprio nel giorno in cui si festeggia Sant’Antonio da Padova. Intanto l’avvocato Aurora D’Agostino, ex consigliere comunale, ha già presentato un esposto in procura sulle affermazioni dell’esponente leghista.

Via|CDS

POLITICA & BUSINESS | «Berlusconi chiese la morte di Gheddafi», denuncia il Fatto Quotidiano

Berlusconi e Gheddafi insieme a Roma nel 2009 (Ansa)

Nella sua ultima conferenza stampa di fine anno da premier in carica, il 23 dicembre del 2010, Silvio Berlusconi non ebbe problemi a dichiararsi apertamente «amico» di Gheddafi, Mubarak e Ben Ali. Pochi mesi dopo sarebbero però esplose le diverse primavere arabe e l'Italia si sarebbe schierata al fianco della Nato nell'intervento militare in Libia. In quell'occasione, denuncia il Fatto Quotidiano nella sua prima pagina di oggi, il Cavaliere avrebbe avanzato ai servizi segreti italiani allora guidati da Gianni De Gennaro la richiesta di «far fuori» Gheddafi. Una rivelazione che il giornale di Padellaro e Travaglio attribuisce «una fonte diplomatica autorevole vicina agli ambienti della sicurezza». Ma che subito dagli ambienti del Pdl viene bollata come un'«infamia» non credibile. Gheddafi fu giustiziato sommariamente nell'ottobre 2011 dopo essere stato scovato nel nascondiglio nei pressi di Sirte dove si nascondeva. Non è la prima volta che si parla di un coinvolgimento dell'Occidente nella morte del Rais e in particolare era stata avanzata una pista francese secondo cui a sparare il colpo di grazia sarebbe stato proprio uno 007 di Parigi. Mai si era però parlato di un ruolo di Palazzo Chigi.

AMICIZIA IMBARAZZANTE - Ma perché Berlusconi avrebbe voluto la morte del suo «amico», di cui fu più volte ospite in Libia e che a sua volta ospitò in pompa magna a Roma concedendogli pure di insediare un vero e proprio accampamento con tenda berbera nel parco di Villa Pamphili? Secondo il quotidiano l'obiettivo del leader del pdl, in una fase in cui vacillava la sua autorevolezza sul piano internazionale, era sganciarsi in ogni modo netto dall'amicizia con il Colonnello. E il modo più drastico poteva essere appunto l'eliminazione del Rais. Per avvalorare la tesi vengono citate alcune inchieste giornalistiche - tra cui pezzi di Le Monde, del Giornale e del Corriere - che ipotizzavano un ruolo dell'intelligence dei Paesi della coalizione occidentale nella scelta di uccidere Gheddafi appena catturato, anziché consegnarlo alla giustizia internazionale e sottoporlo a processo. Si parla anche di un ruolo dell'allora presidente francese Nicolas Sarkozy, a sua volta definito come desideroso di recidere i legami con il leader libico.

LA SMENTITA DI BONAIUTI - «La pretesa ricostruzione del Fatto Quotidiano è totalmente falsa, incredibile, assurda, inaccettabile - tuona il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti -. Ma come si può sostenere che il Presidente Berlusconi abbia soltanto pensato a un'infamia del genere?».

Via|CDS/13.06.13

mercoledì 12 giugno 2013

ITALIA CRISI 2013 | Mai così male in 70 anni di Repubblica

Italia in crisi 2013

"Senza un cambiamento profondo delle politiche, in Europa ed in Italia, non se ne esce". Guarda alla crisi il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, e dice chiaro che "la missione fondamentale del 'Governo al servizio dell'Italia e dell' Europa' - come lo ha definito il Presidente del Consiglio - sembra a noi chiarissima: agire con tempestività e agire in profondità".

Più Iva, più benzina sul fuoco della crisi

L'aumento dell'Iva "va scongiurato tempestivamente, con un approccio davvero senza se e senza ma". Per Carlo Sangalli "l'impatto di questo aumento su consumi, crescita e occupazione - dice - sarebbe davvero benzina sul fuoco ancora ardente della recessione".

Indietro tutta

Il reddito è in flessione ininterrotta dal 2008 e, a causa della crisi, ogni famiglia ha registrato in media una riduzione del proprio potere d'acquisto di oltre 3.400 euro. La dimensione della crisi è tale che, per tornare alle dinamiche di crescita precedenti, bisognerebbe aspettare il 2036. Lo afferma una ricerca Confcommercio-Cer.

Non è colpa del destino

crisi-italia1"Nel declino dell'Italia, non vi è nulla di ineluttabile: non siamo vittime di un 'destino cinico e baro'. Scontiamo, invece, scelte sbagliate e scelte mancate", ha detto ancora Carlo Sangalli nel suo intervento all'assemblea confederale. "Oggi, però - ha
aggiunto - non possiamo più permetterci né le prime, né le seconde. Le agende delle scelte giuste e necessarie sono state gia' scritte. Bisogna realizzarle. Ne va del presente e del futuro dell'Italia".

Tocca alla politica

"Tocca al Parlamento, al Governo, alla politica. Tocca a voi perchT le imprese, da sole, non ce la fanno pi·". Lo ha detto il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, in occasione dell'assemblea annuale dell'organizzazione. "Adesso - ha aggiunto - tocca a voi perchT le imprese, gli imprenditori e i lavoratori hanno fatto davvero tutto quello che dovevano e soprattutto potevano fare e anche di più".

Meno tasse

"Si può ridurre la pressione fiscale solo bonificando la spesa pubblica, rivedendo il perimetro stesso della funzione pubblica, adottando la metodologia dei costi e dei fabbisogni standard e avanzando nell'azione di contrasto e recupero di evasione ed elusione, mettendone a frutto i risultati a vantaggio dei contribuenti in regola". Per Sangalli, "insieme, servono dismissioni decise di patrimonio immobiliare pubblico: per abbattere il debito e per liberare risorse preziose per la crescita".

Se chiudono le imprese
"Senza impresa, non c'è né crescita, né occupazione. E se chiudono le imprese, chiude l'Italia. Teniamolo a mente".

Domanda interna in picchiata

I consumi delle famiglie, "nel 2009 ancora capaci di contrastare gli effetti della Grande recessione mondiale, sperimentano oggi una flessione di dimensione mai registrata nei quasi 70 anni di vita della Repubblica italiana". E' quanto emerge dall'indagine Cer-Confcommercio 'L'Italia arretra'. Assistiamo "alla disintegrazione di quei fattori che in passato avevano contribuito a stabilizzare il ciclo della nostra economia". Gli investimenti in costruzioni, si legge nell'indagine, "i cui andamenti hanno sovente compensato il ripiegamento congiunturale delle altre componenti della domanda aggregata, registreranno a fine anno la sesta riduzione consecutiva; la produzione industriale, nonostante il comparto manifatturiero sia impegnato in uno sforzo di espansione sui mercati mondiali, è scesa di oltre il 4% nel primo trimestre e non ha mostrato segni di ripresa nel bimestre aprile-maggio".

Nel 2013 il numero di giorni di lavoro necessari per pagare tasse, imposte e contributi "raggiungera' il suo massimo storico: 162 giorni (ne occorrevano 139 nel 1990 e 150 nel 2000); ne occorrono 130 nella media europea (-24% rispetto all'Italia)". E' quanto emerge dall'indagine Cer-Confcommercio. Si tratta di "un inasprimento che aggredisce un monte redditi gia' declinante, contribuendo cosi' sia a comprimere la domanda aggregata, sia a scoraggiare l'offerta di lavoro". La complessita' del sistema di prelievo costituisce "un ulteriore fattore di penalizzazione".

Via|Agenzie

lunedì 10 giugno 2013

SOLDI VIVI | La notte di Apple a San Francisco. 5000 sviluppatori mentre il mercato chiede novità

Questa sera alle 19, le 10 della mattina a San Francisco, Apple aprirà la sua annuale conferenza dedicata agli sviluppatori. Saranno almeno in 5000 al Moscone Center davanti al palco dove negli ultimi anni è stato sollevato il velo a molti prodotti, software e servizi della mela morsicata. Le aspettative sono molte perchè da 230 giorni Apple non annuncia novità, le quotazioni dell'azione trattata al Nasdaq, un indicatore che dice molto più della situazione finanziaria, peraltro ottima, sono scese a 441 dollari dopo aver toccato il minimo a 390 in aprile ma ben lontano dal record di oltre 700 dollari toccato in settembre quando non erano pochi a scommettere sul traguardo dei mille dollari. Opposto il consenso che sta spingendo Google e Samsung che si godono la crescita di Android. Questa sera Tim Cook parlerà di software e servizi, del nuovo sistema operativo iOS7 e probabilmente del servizio musicale in streaming iRadio ma dovrebbe esserci dell'altro. I prodotti dovrebbero invece arrivare in autunno, quindi nessun nuovo iPhone per ora. I cartelloni che addobbano il Moscone Center sono molto colorati e in molti sono convinti che proprio tra quei colori si nascondano alcune delle novità.
Enrico Pagliarini|R24

giovedì 6 giugno 2013

INVITO | AFRICA, POPOLI E CULTURE; Per i 50′anni dell’Unione Africana

AFRICA, POPOLI E CULTURE I 50′anni dell’Unione Africana

INVITO | CONVITE {Passa a palavra}

Sabato 8 giugno 2013, dalle 9:30, presso il Collegio San Pietro, la Comunità Angolana organizza una tavola rotonda, denominata AFRICA, POPOLI & CULTURE. L’evento rientra nell’ambito delle celebrazioni dei 50′anni di fondazione dell’Unione Africana.

Ecco, dunque, il programma dell’evento:

09:30 – Messa di Ringraziamento (Missa de Acção de Graças) – Celebra il Don Katchilinguitchimue Obs: Si farà una preghiera speciale per gli 11 anni di pace in Angola.

11:00 – Tavola Rotonda – Oratori: Dott. Habte (Sociologo, Eritrea); Don Costantino (Studioso dell’inculturazione, Camerun); Dott. Moisés Malunbo (Studioso delle culture tradizionali africane, Angola)
- Moderatore: Francisco Pacavira Bernardo (Giornalista)

13:30 – Rinfresco, con piatti tipici dell’Angola

15:30 – Chiusura

Pela Comunità Angolana

mercoledì 5 giugno 2013

Quale pensiero filosofico per il futuro dell’Africa? - di Habtè Weldemariam

Alcuni anni fa, in occasione di un incontro che si svolgeva a Frascati, promosso dall’associazione “Nessun luogo è lontano” ho avuto la fortuna di incontrare e discorrere a lungo con il compianto  professor Joseph Ki-Zerbo.
Ero reduce dalla presentazione del discusso documento NEPAD (Nuovo partenariato per l’Africa) presso il Ministero degli affari Esteri di Roma e chiesi a  Ki-Zerbo cosa ne pensasse…

Il professore elogiò la buona intenzione dei redattori del documento ma secondo lui non era stata tenuta nel debito conto la vera essenza del continente africano. «Vede», disse Ki-Zerbo, «lo sviluppo economico e sociale è sempre legato ad una cultura. Ho l’impressione che il documento risponda ad un pensiero di progresso economico di tipo Occidentale… Non si possono sprecare così tante energie per proporre un modello tipo Nepad senza prendere in considerazione la struttura sociale di un popolo nel suo insieme».
Credo di aver compreso le perplessità di Joseph Ki-Zerbo nell’ottobre scorso,  dopo aver seguito il convegno promosso dalla Pontificia Università Urbaniana e dall’Università “Roma Tre” intitolato La philosophie africane: l’antropologie. Un convegno peraltro ricco di spunti, idee e vivacità di pensiero, come spesso capita con gli intellettuali francofoni e lusofoni.
La filosofia non è il mio campo di specializzazione ma, occupandomi di studi e ricerche di antropologia culturale e di narrativa africana, mi sono sempre imbattuto in questioni legate alla cosmologia, alla mitologia, alla saggezza della vita o all’immortalità nelle religioni tradizionali africane; così, tornando a casa dopo il bel convegno dedicato alla filosofia africana non ho potuto fare a meno di porre a me stesso una serie di quesiti: esiste una filosofia africana? Il fatto che la tradizione orale abbia carattere testuale e storico è sufficiente perché si possa parlare di una filosofia? Qual è il ruolo del “pensiero universale” della tradizione africana?  E lo sviluppo del pensiero filosofico africano oggi?

Ridefinire la storia del pensiero africano per reclamarne un riconoscimento

Una giornata di relazioni e di dibattiti per un argomento così vasto certamente non basta per giungere a delle conclusioni, ma il convegno ha comunque rivelato che siamo in una fase di confronto. Non è chiaro se vi è una specifica “filosofia africana” o se nella visione del mondo dell’uomo africano esistono principi costanti e ricorrenti, comuni ed irriducibili, che fanno sì che egli sia guidato nella sua soggettività. Insomma, possiamo parlare di un’alba della “filosofia africana”?
L’immagine “storta” dell’Africa e la sua marginalizzazione nella storia ha le sue radici nella concezione etnocentrica ed evoluzionistica europea; basti pensare alle testimonianze di Erodoto, Plinio il Vecchio, Diodoro Siculo, alla teoria del Buon Selvaggio di Jean Jacques Rousseau e alla concezione hegeliana della storia. Secondo tale concezione l’Africa era una terra abitata da popolazioni primitive, astoriche e prive di razionalità; un pregiudizio che ha fortemente viziato l’immagine del Continente fino ad “inventare” un’altra Africa, che doveva essere salvata dalla sua condizione di barbarie dal progetto coloniale.
Ecco perché, mentre la “castrazione coloniale” non è ancora finita, diversi pensatori africani vedono nella riflessione filosofica una via verso la rinascita africana e per ricrearne l’identità, liberandola il più possibile dagli orpelli di un pensiero altro, che l’ha violentata e resa schiava.
Inizialmente tale pensiero è nato come forma di reazione e resistenza rivolto nel contempo all’Africa e all’Occidente; un tentativo di proporre a sé e agli altri un’immagine positiva in cui potersi riconoscere ed essere riconosciuti. Oggi vuole impegnarsi anche in un confronto in campo internazionale per ridefinire la storia, la cultura, l’esistenza degli africani e reclamare il riconoscimento della propria umanità. Così è iniziata la riscoperta del pensiero filosofico nel Continente, a cominciare almeno dall’Egitto antico di cinquemila anni fa per poi arrivare, via via, fino allo sviluppo filosofico dell’Africa settentrionale con Sant’Agostino, e ai filosofi razionalisti etiopici del ‘500-600, come Weldehiwet e Zera-yaqob.
Su Zera-yaqob è necessario spendere qualche riga, in quanto i suoi scritti stanno suscitando un grande interesse a livello mondiale, ma soprattutto tra gli intellettuali africani. Tra il 1500 e il 1600 in Etiopia vi fu una grande fioritura di pensatori, ma anche incredibili persecuzioni con roghi di pergamene con i quali la Chiesa copta attuò una forte censura contro varie correnti di pensiero filosofico. Tutto ciò che non risultava essere coerente con la teologia e il mito della monarchia salomonide etiopica doveva essere eliminato, con un atteggiamento che oggi potremmo definire anticulturale. In questo contesto la figura di Zera-yaqob è emblematica, essendo uno dei grandi pensatori perseguitati, che viveva esiliato nelle caverne dell’Ambe nell’acrocoro abissino. Dopo 500 anni, finalmente, sono stati scoperti i suoi manoscritti; un tesoro di testi, soprattutto di filosofia, enorme, che richiederà parecchi anni per la sola traduzione, in quanto si tratta dei discorsi scritti in lingua ge’ez , spesso in forma di Qene, con doppiezze semantiche e metafore con cui opporsi ai Neghestat e ai teologi copti, i quali facevano ampio uso di parole e concetti “a doppio taglio”.

La filosofia del riscatto

L’ambito in cui la filosofia africana ha tentato - e tenta - di svilupparsi come scienza moderna è quella incerta zona di confine che separa e congiunge spazi socioculturali, politici, mentali, disciplinari come il dominio coloniale e lotte di liberazione, diaspora, saperi locali e linguaggi disciplinari occidentali. Si tratta di uno spazio ambiguo, lacerato e mal definito che ha reso urgente la domanda sulla identità, personale e collettiva, e che appunto cerca nella filosofia una possibile chiave di risposta, oscillando tra la rivendicazione di una propria irriducibile diversità e l’affermazione della rilevanza universale del proprio pensiero e della propria cultura.
La filosofia africana in senso stretto, intesa cioè come produzione di testi filosofici che si inserisce in un ambito disciplinare istituzionalmente definito, nasce come risposta ai discorsi discriminatori che l’Occidente ha sviluppato sull’Africa, negando agli africani una pari dignità culturale e capacità di pensiero razionale. A partire dagli anni ’20 del XX secolo gli intellettuali africani, spinti da un forte desiderio di libertà, hanno dato nuovi impulsi a dibattiti politici, culturali, sociali e filosofici riguardanti la loro situazione storica, sviluppando in seno alla “filosofia africana”, diverse correnti di pensiero: il Panafricanismo (W. E. B. Dubois), il Conscientismo (Kwame Nkrumah), la Corrente Nazional-Ideologica in cui troviamo la Negritude (Sedar Senghor, Aimè Cesaire); il Socialismo africano (Jomo Kenyatta, Julius Nyerere); la Sage Philosophy, secondo la quale la filosofia in Africa è molto antica e nasce dagli insegnamenti dei saggi, degli anziani; la Filosofia Professionale, che spinge il dibattito in campo internazionale presso alcune università occidentali dove lavorano molti filosofi del Continente nero, detti per questo intellettuali della diaspora; la Corrente Etnofilosofica; la Corrente Critica che nasce in opposizione a quella Etnofilosofica e che attribuisce alla filosofia un ruolo di primo piano nella ricerca dell’identità africana; e infine, la Corrente Ermeneutica. L’approccio di quest’ultima, nel tentativo di oltrepassarne la contrapposizione, tra i due estremi dell’atavismo essenzialista - la etnofilosofia e la critica - e dell’universalismo occidentalizzante, tenta di rielaborare l’esperienza africana alla luce del passato, del presente e del futuro.

Il futuro della filosofia in Africa

Ora le tante considerazioni errate sul “pensiero filosofico africano” sono in via di smascheramento costringendo, soprattutto il mondo occidentale, a rivedere i suoi giudizi e pregiudizi. Molti intellettuali africani, senza fermarsi a banali battibecchi, continuano a percorrere strade nuove per ritrovare la loro identità sostenendo l’idea che la filosofia è un processo essenzialmente aperto, una ricerca inquieta e incompiuta. In questo processo di mutazione decisivo del pensiero filosofico africano c’è un grosso dilemma da superare: la coesistenza tra le norme che regolano il pensiero accademico e il dialogo pacifico del modo tipicamente africano di pensare. Anche perché, parafrasando il pensiero del professor Ki-Zerbo riguardo il documento Nepad, anche una filosofia è sempre legata ad una determinata cultura e si è sviluppata seguendo la cultura che l’ha generata nella sua evoluzione. Dobbiamo inoltre ricordare che «l'Africa di ieri è ancora un dato contemporaneo!».
Mi rendo conto che, in un mondo globalizzato, esprimere l’ “Africa di ieri” come potenza visionaria su se stessa e sul proprio destino è alquanto difficile. Eppure, non solo nel campo del pensiero ma anche all'interno di un linguaggio, la tradizione orale africana conserva tuttora un'importanza sacrale. Ancora sopravvivono le corti dei capi africani tradizionali, dove si ripetono gli stessi riti di cento o di cinquecento anni or sono; la tradizione, la mitologia, le cosmologie vengono ancora assunte come filosofie comunitarie, indipendenti, complementari o alternative rispetto alla filosofia occidentale. La sapienza accumulata nella tradizione orale costituita da miti, proverbi e racconti, riti, nomi, proibizioni e da tutte le manifestazioni della parola e del pensiero sono ciò che si può chiamare pensiero filosofico della tradizione orale africana. Il termine “filosofia” diventa dunque un sinonimo di concezione collettiva del mondo e della vita, una sorta di antropologia spontanea sedimentata nelle categorie della lingua, nelle rappresentazioni sociali e nei costumi. Qui non emerge il nome di qualche particolare personalità, ma il soggetto è la tradizione, la comunità, il popolo.
Tale “spirito” o “stile”, per convenzione tale “filosofia”, mentre in Occidente avrebbe il proprio carattere distintivo in un atteggiamento analitico che conduce alla dominazione della natura e all’atomismo sociale, in Africa troverebbe la propria peculiarità in una visione sintetica del mondo e del sapere che favorirebbe la coesistenza con la natura e la convivenza comunitaria fra gli uomini.
E' giunto il momento di elaborare, comunque, un pensiero africano, teorizzando i valori e la saggezza in esso presenti, dando così un contributo efficace per diffondere nel mondo la ricchezza della spiritualità africana. Si tratta di un richiamo, di una sollecitudine provenienti da ogni angolo della terra dove l’africano è presente  che intende indurre gli intellettuali africani a riflettere sulla propria identità, sul proprio passato e sul presente, a  porre le basi per una salda conoscenza della propria cultura e questo può rivelarsi molto fruttuoso anche nelle scuole africane di filosofia.
Roma, novembre 2006

L’ULTIMA VERITA’ | I vegetariani vivono più a lungo, Loma Linda University

piramide alimentar[1]

La dieta vegetariana potrebbe allungare la vita. Un beneficio più spiccato negli uomini che nelle donne. Almeno in base a uno studio condotto dalla Loma Linda University in California e pubblicato sulla rivista Jama.

La ricerca - Gli esperti hanno analizzato i dati di più di 73mila persone che facevano parte delle chiese Avventiste nordamericane, reclutati tra il 2002 e il 2007. A tutti è stato somministrato un questionario sulle abitudini alimentari, scoprendo che il 29% dei soggetti era vegetariano, l'8% vegano e un ulteriore 15% mangiava carne e pesce solo occasionalmente. I ricercatori hanno poi controllato di nuovo il database il 31 dicembre 2009, per capire quanti dei soggetti erano morti. Tutti i tipi di dieta vegetariana hanno presentato un tasso di morte inferiore rispetto alle diete con carne e pesce. Negli ultimi il rischio è risultato di sette persone ogni mille soggetti, mentre negli altri oscilla tra cinque e sei.

lunedì 3 giugno 2013

RAZZISMO ITALICO 2013 | Parlamento europeo, il gruppo degli euroscettici di Nigel Farage espelle Borghezio

Lega-Nord-Mario-Borghezio-condivide-opinione-Breivik[1]

Milano - Il gruppo parlamentare degli euroscettici Efd ha ufficializzato l'espulsione «da oggi» di Mario Borghezio. Fonti del gruppo hanno reso noto che «una maggioranza superiore ai due terzi» si è espresso favorevolmente alla proposta fatta venerdì scorso dal co-presidente Nigel Farage. A quanto si apprende, la decisione è già stata comunicata al presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, con una lettera di Farage in cui si informa che «da oggi» il leghista non fa più parte del gruppo Efd. Nella lettera non vengono indicati motivi specifici.

L'eurodeputato leghista Fiorello Provera, vicepresidente della Commissione Affari Esteri, ha intanto «preso le distanze» proprio da Borghezio per le dichiarazioni a sfondo razzista fatte in una intervista pubblicata sul numero in edicola di Panorama. «Non mi risulta che queste posizioni coincidano con quelle della Lega Nord - ha scritto Provera in una nota - Sicuramente non coincidono con le mie. Credo che queste generalizzazioni o categorie etniche diluiscano il principio di responsabilità del singolo individuo. Principio in cui credo fermamente».

Sul caso Borghezio si è espresso anche Matteo Salvini, eurodeputato leghista e segretario della Lega lombarda, intervistato a La Zanzara su Radio 24. «Non cacceremo Borghezio dalla Lega, non c'è questa possibilità. Lui resta nella Lega, almeno dal mio punto di vista». Certe cose - dice Salvini - potrebbe risparmiarsele, «gli inglesi si sono rotti le balle. Io personalmente l'ho difeso fino alla morte, ma ha detto alcune cose fuori luogo. Si può fare battaglia sull'immigrazione senza parlare di Ku Klux Klan o di meticciato».

Su Panorama Borghezio ha attaccato tra l'altro il ministro dell'immigrazione. «Cécile Kyenge - ha detto - si è comportata in maniera incivile non stringendo la mano al capogruppo della Lega alla Regione Lombardia. Se l'avesse fatto un altro avrebbero detto che è uno stronzo. Invece non è successo nulla». Rispondendo alle domande di Giuseppe Cruciani, Borghezio ha poi aggiunto: «I meticci sono un obbrobrio perché inquinano la differenza tra le etnie, gli antirazzisti italiani sono ignoranti e raccontano idiozie». Citato, infine, Joseph Arthur de Goubineau, diplomatico francese che a metà Ottocento pubblicò un saggio sull'ineguglianza delle razze umane.

Via|Agenzie

domenica 2 giugno 2013

NUOVA CHIESA | La preghiera globale di papa Francesco: da San Pietro collegato alle capitali del mondo

La celebrazione per il Corpus Domini Roma - Quando il diacono, sotto al baldacchino, ha portato l'ostensorio nella navata centrale di San Pietro, sono scattati i flash delle macchine fotografiche e i tablet si sono alzati per riprendere la scena. Ma soprattutto, milioni di persone in tutto il pianeta hanno assistito in mondovisione televisiva o in diretta streaming su internet, rimanendo collegati per tutto il tempo dell'esposizione, a pregare in sintonia e contemporanea con papa Francesco. La più statica tra le cerimonie liturgiche - l'adorazione eucaristica  -  è diventata così un evento mediatico senza precedenti nella storia della Chiesa, con migliaia di località di tutto il mondo che si sono sincronizzate sull'ora di Roma e collegate con la basilica vaticana. Il pontefice, entrato portando la ferula utilizzata da Benedetto XVI e indossando sulle spalle il piviale previsto dal rito, ha assistito in silenzio.
L'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, aveva pensato ad un modo per solennizzare la festività del Corpus domini nell'ambito dell'anno della fede. Ed è nata così l'idea di un appuntamento che richiamasse all'unità dei cattolici attorno al mistero eucaristico. Il via libera era arrivato già da papa Benedetto, ma Bergoglio non ha esitato a sottoscrivere l'iniziativa. Anche perché proprio il pontefice argentino, durante le sue uscite pubbliche, più volte ha chiesto di concentrare l'attenzione su Gesù, piuttosto che su di lui. "Un piccolo rimprovero, ma fraternamente", ha rivolto ad esempio nella veglia con i movimenti: "Io avrei voluto che voi gridaste: "Gesù, Gesù è il Signore, ed è proprio in mezzo a noi!". Da qui in avanti, niente "Francesco", ma "Gesù"". E oggi, i cattolici di tutto il mondo lo hanno fatto. Per un'ora hanno concentrato gli sguardi sull'altare, condividendo lo schema di celebrazione con l'alternanza di lunghe fasi di silenzio, canti e preghiere accompagnate in San Pietro dal sottofondo di musica d'arpa. Anche se poi ogni comunità locale ha avuto facoltà di inserire simboli e intenzioni proprie.
Dall'Alberta alla Nuova Zelanda, dal Cile alla Russia: le diocesi si sono ritrovate nelle cattedrali, ma anche le singole parrocchie e le comunità religiose si sono organizzate. Monsignor Fisichella ha sottolineato con soddisfazione che adesioni sono arrivate dagli Stati in cui i cattolici sono in forte minoranza o da contesti geografici nei quali è stato difficile persino approntare illuminazione elettrica e protezione climatica per i fedeli, come nella foresta amazzonica o nelle isole del Pacifico, dove tra l'altro, a causa del fuso orario, l'adorazione è iniziata quando erano già le prime ore di lunedì.
Alla fine, per tutti, la benedizione di papa Francesco. Ma da parte del pontefice non è stata prevista omelia. Il senso della giornata lo aveva anticipato nel corso dell'Angelus, che lo ha visto agganciarsi all'omelia di giovedì scorso, quando, prima della processione per le strade di Roma, aveva sottolineato un richiamo alla solidarietà. Oggi il Papa è tornato sul tema: "Dio può tirar fuori il necessario per tutti" ma il miracolo dei pani e dei pesci, ha evidenziato, "più che una moltiplicazione è una condivisione, animata dalla fede e dalla preghiera". La festa del Corpus Domini, ha spiegato Bergoglio "ci chiede di convertirci alla fede nella Provvidenza, di saper condividere il poco che siamo e che abbiamo, e non chiuderci mai in noi stessi".
Ma dal pontefice, che in mattinata aveva celebrato messa alla presenza di alcuni militari e dei parenti di alcuni caduti nelle missioni di pace, sono arrivate anche parole di netta condanna alle guerre che, ha detto, "sono sempre una follia", il "suicidio dell'umanità", come ha detto anche nella cappella della Casa Santa Marta. Rievocando, a margine della preghiera mariana di mezzogiorno il radiomessaggio di Pio XII a ridosso del secondo conflitto mondiale, Francesco ha ripetuto: "Tutto si perde con la guerra. Tutto si guadagna con la pace". E ha chiesto alla piazza una preghiera silenziosa per i caduti e i loro familiari. Un pensiero lo ha rivolto anche al conflitto siriano, con un appello in favore dei sequestrati, tra i quali figurano due vescovi e il giornalista Domenico Quirico.

Via|La Repubblica di A. Gualtieri

DOLORE & TRISTEZZA | Addio a Little Tony, la musica italiana perde un altro pezzo importante

È morto Little Tony. Il cantante - vero nome Antonio Ciacci - che aveva 72 anni ed era originario di Tivoli (Roma) - era malato di tumore. Il decesso a causa di un tumore alle ossa è avvenuto a Villa Margherita il 27 maggio , dove era ricoverato da tre mesi.
Il funerale si è svolto al Divino Amore, chiesa a cui Little Tony era devoto, tra una sfilata di Ferrari, di cui lo stesso cantante era presidente onorario del club Ferrari e le migliaia di persone tra cui vip e fan che sono accorse a dargli l'umtimo saluto.
Commossa dalla funzione religiosa sua figlia Cristiana non ha retto l'emozione ed ha avuto un mancamento, ma non si è voluta far portare in ospedale ed è rimasta fino alla fine della cerimonia. Presente tra i parroci anche Don Benedetto del villaggio Don Bosco di Tivoli a cui Tony era particolarmente legato. Molti i messaggi di cordoglio per la famiglia, tra i personaggi arrivati a dare l'ultimo saluto Al Bano, Pippo Baudo, Mara Venier che ha condotto subito dopo uno special alla vita in diretta ricordando la straordinaria carriera e vita dell'artista, I cugini di Campagna, Bobby Solo, Rita Pavone, Dario Salvatori, Gianni Morandi e motli vestiti ad Elvis hanno incitato le Ferrari a rombare fuori la chiesa per salutarlo. Enrico Ciacci, fratello di Tony ha pianto per tutta la funzione religiosa e salutato centinaia di persone. All'ultimo momento è arrivato anche il Sindaco Gianni Alemanno a portari i saluti del Comune di Roma. La bara ha salutato il Divino Amore sulle note di Cuore Matto per poi dirigersi al cimitero di Tivoli dove Little Tony è stato sepolto.
Noi della redazione ed in particolare io, che ho avuto la fortuna di conoscerlo gli dedichiamo quest'ultimo saluto.
"La fortuna appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni. E tu hai realizzato il sogno della tua vita. Ma questa non è la fine ma l'inizio di un altro sogno: quello eterno. R.I.P. T.V.B. Rimarrai sempre nei nostri ricordi. (EMANUELA DEL ZOMPO)

ANGELINA JOLIE | Senza seno, dopo la mastectomia, ecco il quadro provocazione

Angelina Jolie senza seno: il quadro provocazione

Il gesto dell'attrice Angelina Jolie, che ha deciso di farsi asportare entrambi i seni per prevenire il cancro, ha ispirato l'artista svedese Johan Andersson che ha deciso di dedicarle un dipinto che la ritrae nuda, senza seno. Celebre per aver dipinto il volto di Amy Winehouse dopo la sua scomparsa, Andersson è il più giovane artista esposto alla National Portrait Gallery di Londra. "Quando avevo 15 anni mia madre ha avuto una grave forma di cancro al seno", ha spiegato Andersson al New York Daily News, chiarendo tuttavia che "è stata abbastanza fortunata da non dover sottoporsi a mastectomia. "La recente notizia su Angelina ha generato in me un'ansia che mi ha spinto a dipingere questo ritratto", ha aggiunto. Il ricavato della vendita dell'opera, valutata circa 22.000 dollari, andrà a un'organizzazione benefica, la Falling Whistles, impegnata nel portare la pace in Congo

ANGELINO ALFANO | l’"Elezione diretta del capo dello Stato? Ce la faremo"– Silvio for President

Roma - L'elezione diretta del capo dello Stato? "Noi ci abbiamo provato l'anno scorso e purtroppo siamo riusciti solo al senato e non alla Camera. Adesso penso che potremo farcela perché anche da parte del Pd si stanno aprendo significativi spiragli". Lo ha detto il vicepremier e Ministro dell'Interno Angelino Alfano rispondendo ai giornalisti al termine della parata per la festa della Repubblica. "Questa - ha proseguito - sarà anche un'ottima scelta per aumentare l'affetto dei cittadini nei confronti delle istituzioni".
A chi gli chiedeva cosa ne pensasse dell'elezione diretta del capo dello Stato Alfano ha risposto: "Noi lo diciamo da tempo: siamo assolutamente d'accordo e nel 2012 abbiamo fatto una grande battaglia. La strada giusta - ha proseguito - e' quella secondo cui i cittadini devono poter eleggere il presidente della repubblica. Se viene eletto direttamente dal popolo i cittadini potranno partecipare ad una grande gara democratica come succede in Francia e in America". Alfano ha sottolineato che "gli italiani gia' guardano con favore a quelle gare democratiche, quando si sceglie il presidente degli Usa o della Francia. Perche' non consentirlo anche a loro?".
Zero tasse agli imprenditori che assumono disoccupati; via l'Imu e non aumento dell'Iva; semplificazioni per chi vuole investire: "Se queste azioni funzioneranno noi potremmo avere una bella speranza per la seconda meta' del 2013". Lo ha detto il vicepremier Angelino Alfano.
"Noi dobbiamo dare lavoro ai giovani - ha deto Alfano, parlando con i giornalisti al termine della parata per la festa della Republica e abbiamo una ricetta che puo' immediatamente offrire la possibilita' che questo lavoro si crei, e cioe' - ha spiegato - zero tasse per gli imprenditori che assumono giovani disoccupati. Chi assumera' questi ragazzi insomma non dovra' pagare quelle tasse che fin qui hanno rappresentato un disincentivo all'assunzione".
Inoltre, ha proseguito Alfano: "Attraverso le politiche fiscali di detassazione, come nel caso dell'eliminazione dell'Imu, o di non appesantimento fiscale, come il non aumento dell'Iva, si puo' ambire ad una ripresa dei consumi che e' capace a sua volta di generare nuova intrapresa". Infine, "terzo ambito su cui puntiamo molto - ha aggiunto il ministro dell'Interno - e' quello delle semplificazioni. Chi ha degli euro in tasca e vuole investire deve poterlo fare immediatamente senza incorrere nei lacci e nei lacciuoli della burocrazia". "la nostra previsione e' positiva", ha concluso il ministro: "Se queste azioni funzioneranno noi potremo avere una bela speranza per la seconda meta' del 2013".

Turchia 2013 | Calma precaria a Istanbul dopo guerra urbana - "Tayyip Istifa"

CALMA PRECARIA DOPO SCONTRI IERI - Una calma precaria è tornata questa mattina a Istanbul dopo i violenti scontri di ieri fra decine di migliaia di manifestanti anti-governativi e le forze antisommossa che secondo Amnesty International avrebbero fatto due morti e più di mille feriti. Il bilancio ufficiale del governo turco è invece di 79 feriti, 53 civili e 26 agenti. Nella notte ci sono stati ancora scontri a Istanbul e Ankara vicino agli uffici del capo del governo Recep Tayyip Erdogan. La polizia ha caricato, usando anche gas lacrimogeni, proiettili di gomma e cannoni ad acqua le migliaia di manifestanti che si avvicinavano gridando "Tayyip Istifa" ('Tayyip vattené, ndr). Il movimento di rivolta, partito lunedì scorso da una protesta contro la distruzione del parco di Gezi, nel cuore di Istanbul, si è esteso a tutto il Paese. Ci sono state ieri manifestazioni in 90 città turche, mille persone sono state arrestate.

E' ora secondo diversi analisti - alcuni dei quali parlano di una "primavera turca", dopo quelle arabe - il più importante contro il governo da quando è arrivato al potere nel 2002. Piazza Taksim, cuore della Istanbul europea riconquistato ieri pomeriggio dai manifestanti dopo che la polizia ha tolto l'assedio, è rimasta presidiata tutta notte da centinaia di persone. Nuove concentrazioni sono state autoconvocate dalle reti sociali per il pomeriggio. La tensione rimane alta. Dai siti arriva una valanga di denunce della estrema brutalità ieri della polizia turca, che ha coperto i manifestanti di gas lacrimogeni, sparandoli ad altezza d'uomo, e pallottole di gomma. Sui social network circolano migliaia di video e foto di feriti gravi, di scene di caccia all'uomo e di grande brutalità da parte delle forze dell'ordine. Quattro manifestanti, colpiti agli occhi, hanno perso la vista.