sabato 26 settembre 2009

La prima città a prova di hacker A Durban una rete inviolabile grazie ai codici segreti quantistici

Dopo il Sudafrica, toccherà a Madrid, Londra e Tokyo

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Per gli hackers è cominciato un conteggio alla rovescia (forzato) che, per il momento, promette solo la fine delle loro ostilità. Grazie alla meccanica quantistica, cioè quanto di più sofisticato e, ai più difficil­mente comprensibile, che la fisica possa esprimere. La città di Durban, in Sudafrica, ha realizzato in questi mesi la prima rete cittadina «an­ti- hackers». Collegati fra loro sono gli edifici municipali di Pinetown, Westville e Cato Manor. La parola magica che la difenderà è «crittogra­fia quantistica», cioè la scienza dei codici segreti che fa ricorso alla teo­ria da cui è partita la fisica moderna. Il «padre» era Max Planck e l'annun­ciava in una conferenza a Berlino il 14 dicembre 1900. Da allora è inizia­ta una lunga storia segnata da illu­stri controversie (Einstein non ci credeva, pur avendo contribuito) e che solo di recente ha aperto la fine­stra alle prime applicazioni. Tra quelle più desiderate c'è il compu­ter quantistico che porterà una rivo­luzione che oggi nemmeno siamo in grado di valutare pienamente.

Il primo passo che sta raccoglien­do successo riguarda appunto la «Quantum Key Distribution (QKD)» realizzata inviando se­gnali su fibre ottiche. L'ultima significativa sperimentazione è stata compiuta nell'ottobre 2007 a Ginevra durante le elezioni con un collegamen­to tra la stazione di raccolta dei conteggi e il Data Center del governo. Grazie al succes­so di questo progetto pilota il Cantone di Ginevra ha deciso che la tecnologia «QKD» sarà impiega­ta in tutte le future elezioni. Ma se Durban è la prima città al mondo ad accendere una rete del genere, nel 2010 si aggiungeranno altre tre città: il governo di Tokyo complete­rà i collegamenti fra tutti i ministe­ri e pure Madrid e Londra avranno ultimato la loro prima rete metro­politana.

«Questa tecnologia proposta ne­gli anni Ottanta e sperimentata in la­boratorio negli anni Novanta, final­mente dai primi anni Duemila con­sente le prime applicazioni indu­striali — spiega Erwan Bigan della svizzera Swisscom — Ma sono anco­ra pochissime le società impegnate su questa frontiera che trova resi­stenza ad essere applicata nonostan­te gli indubbi vantaggi». Sviluppi e possibilità sono emer­si dalla Conferenza internazionale «Quantum Information Processing and Communication» tenuta per la prima volta in Italia, all'Università La Sapienza, a Roma dove queste ri­cerche erano state avviate da France­sco De Martini. Il motivo, infatti, è che presso l'ateneo è attivo un picco­lo ma agguerrito gruppo di ricerca­tori ormai di fama internazionale che lavora teoricamente e pratica­mente sull'argomento il quale deve la sua fama alla fantascienza perché utilizza i principi del teletrasporto resi celebri da Star Trek.

«Seguendo la via più semplice, manipoliamo i fotoni con le proprie­tà della fisica quantista — spiega il professor Paolo Mataloni alla guida del gruppo nel Dipartimento di fisi­ca —. Così riusciamo a costruire una rete nella quale far viaggiare in­formazione in maniera inviolabile. Tutto si basa sulla polarizzazione dei fotoni in modo random e come ciò avvenga lo sa chi invia il messag­gio e chi lo riceve, soltanto se prima ha ricevuto la chiave di interpreta­zione. Inoltre, qualsiasi tentativo di intrusione nella rete viene subito ri­conosciuto perché altera la comuni­cazione ». In Italia ci sono alcuni al­tri gruppi di ricercatori impegnati in questo campo. Nelle Università di Firenze e Pisa si fa ricorso ad un'al­tra tecnica (Bose-Einstein Conden­sation) nella quale sono protagoni­sti invece dei fotoni, delle particelle atomiche chiamate bosoni portate a temperature vicine allo zero assolu­to (meno 273 gradi centigradi). Nel­le università di Torino e Camerino si fa ricorso, come a Roma, ai fotoni e a Camerino è nata pure una start-up, una società che inizia a commercializzare i risultati.

L'obiettivo ambito rimane però il computer quantistico nel quale il bit classico viene sostituito dal Qu­bit, cioè dal «Quantum bit», il «quanto di informazione quantisti­ca » nel quale le basi del conteggio dei computer classici «zero» e «uno» si manifestano in molti modi nello stesso momentoamplificando eccezionalmente la capacità di ela­borazione.

«Nel nostro laboratorio — raccon­ta Mataloni — manipolando due fo­toni siamo arrivati ad una capacità di 6 Qubit. Ora siamo in gara per condividere un progetto di ricerca europea che entro tre anni mira a re­alizzare un microprocessore da 20 Qubit, mattone fondamentale del fu­turo computer quantistico il quale si trova oggi allo stesso livello offer­to dagli elaboratori tradizionali ne­gli anni Cinquanta». L'Europa, in questo campo, è in una posizione di primo piano a livel­lo internazionale, per nulla inferiore agli Stati Uniti o al Giappone. Se si saprà mantenere, per il Vecchio Con­tinente, dalla fisica quantistica che ha generato teoricamente potrebbe­ro emergere anche preziose applica­zioni pratiche.

Giovanni Caprara
26 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA

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