Quest’anno sarà senz’altro diverso. Il Primo Marzo si avvicina alla sua seconda edizione e le varie realtà che compongo il movimento, associazioni, singoli cittadini, ong, stanno lavorando, tra non poche difficoltà, per portare in piazza quanti si riconoscono nel senso e nel programma elaborato insieme ai vari comitati territoriali dal coordinamento nazionale (vedi box). L’obiettivo è che italiani e stranieri, “vecchi e nuovi cittadini”, si ritrovino uniti e pronti a manifestare a favore di una società che tuteli certi diritti, primo fra tutti quello del lavoro, e che combatta discriminazione e razzismo. L’anno scorso fu un successo. Secondo gli organizzatori, 300 mila persone si mobilitarono in 60 città italiane per sostenere l’importanza e la necessità degli immigrati nel tessuto economico e sociale del nostro Paese. Un contributo fondamentale senza il quale il sistema produttivo, pensionistico, assistenziale italiano andrebbe in tilt. Cortei, presidi, lezioni pubbliche all’aperto, feste, dibattiti animarono la penisola da Nord a Sud e portarono il giallo, il colore del movimento, ovunque. Non tutti riuscirono a scioperare, soprattutto tra le categorie di lavoratori più deboli, almeno dal punto di vista sindacale. Ma questo era stato ampiamente previsto. L’esperimento però funzionò e portò all’attenzione dell’opinione pubblica la centralità della presenza straniera in Italia. Diverse le ragioni dell’esito positivo della prima edizione del Primo Marzo: la novità dell’iniziativa e il contagio dal basso attraverso il tam tam su internet e su Facebook; il gemellaggio con il movimento francese “24 heures sans nous”; la diffusione del libro di Vladimiro Polchi “Blacks out - un giorno senza immigrati”; i tragici fatti di Rosarno, con la caccia al nero seguita alla rivolta dei braccianti africani per le disumane condizioni di lavoro in cui erano costretti a sottostare. Tutto questo rappresentò uno squarcio nella storia recente del nostro Paese, all’interno del quale il Primo Marzo s’inserì trovando una sua fondamentale ragione d’essere.
Oggi il movimento ha perso la capacità d’attrazione dell’anno scorso, anche perché l’entusiasmo e lo slancio della prima volta sono condizioni irripetibili. Come tutte le iniziative spontanee ha fatto fatica a trovare un’unica regia in grado di portare avanti con forza certe istanze di progresso civile. I comitati territoriali, che costituiscono il Primo Marzo, sono composti da realtà a volte lontane tra loro. Le divisioni e i distinguo di questa rete di soggetti sono elementi che ne hanno indebolito la capacità operativa. L’impressione è che si proceda in ordine sparso, con richieste diverse da città a città a seconda di chi gestisce i comitati territoriali. A decidere è chi ha maggiore spirito d’iniziativa.
Eppure tutte le condizioni che hanno fatto nascere il movimento ci sono ancora ed è questo quello che conta. La difesa del lavoro, tema unificante di questa edizione, è tanto più urgente oggi con la crisi che continua a colpire tutti, ma in particolare gli immigrati. Secondo l'Istat, il loro tasso di disoccupazione si aggirava nel 2010 intorno al 12% contro l’8,6% degli italiani. Per gli stranieri la perdita dell’occupazione significa il rischio di espulsione dopo 6 mesi dal licenziamento, secondo quanto stabilito dal pacchetto sicurezza del 2009. La piaga del lavoro nero e del caporalato è più che mai diffusa e continua a rendere il lavoratore immigrato estremamente debole e ricattabile. La lotteria dei click day e i decreti flussi hanno dimostrato, ancora una volta, l’inefficacia e l’ingiustizia di questo sistema di reclutamento. Per tutti, lavoratori e aziende. Per questi motivi il Primo Marzo chiede di unire lo sciopero alle iniziative previste per martedì prossimo.
Ai più importanti sindacati, che l’anno scorso hanno guardato con sospetto l’evolversi del movimento e come quest’anno hanno aderito a singhiozzo alle iniziative locali, ad eccezione della Fiom, ci siamo rivolti per chiedere se non è il caso di spingere anche da parte loro per una mobilitazione generale più consistente a difesa del lavoro di tutti - certo - ma partendo da quello degli immigrati. Se non fosse per loro, che rappresentano più di un milione di iscritti alle maggiori confederazioni (Cgil, Cisl, Uil, Ugl), in alcuni settori (servizi, commercio, costruzioni, agricoltura) i tesseramenti rimarrebbero al palo e i rinnovi riguarderebbero soprattutto i pensionati italiani e non gli occupati attivi. In percentuale, insomma, sono gli stranieri ad aumentare di più all’interno dei sindacati. Tuttavia la posizione che domina rispetto al Primo Marzo è di adesione formale da parte delle segreteria confederali nazionali. “Aderiamo all’iniziativa ma siamo contrari allo sciopero che deve essere un mezzo, non un fine - risponde secca a Mixa Vera Lamonica, segretario confederale della Cgil con delega all’immigrazione. Gli scioperi vanno proclamati solo se hanno possibilità di successo”. Senz’altro vero, ma è noto a tutti che in Italia sono quasi solo i sindacati ad avere la capacità di riempire le piazze. Anche quest’anno il timore è quello di uno sciopero ghettizzante che separi italiani e stranieri. “I nostri iscritti immigrati sono i primi ad essere contrari - sostiene Lamonica - e noi portiamo avanti le loro istanze in tutte le nostre mobilitazioni”.
Della stessa opinione Liliana Ocmin, segretario confederale della Cisl, che parla del pericolo di strumentalizzare certe iniziative e del lavoro quotidiano della sua organizzazione a favore dei lavoratori stranieri: “Noi siamo per la concertazione, la conciliazione - ci dice la responsabile di origine peruviana del Dipartimento Politiche Migratorie, Donne e Giovani - non per lo sciopero che semmai dovremmo essere noi ad indire”. Per la trattativa discreta - verrebbe da dire - e non per il gesto eclatante come quello della manifestazione. Si contesta il metodo, insomma, e anche l’autorità di proclamare lo sciopero. Sui principali temi del programma del Primo Marzo c’è invece totale condivisione perché sono gli stessi che portano avanti i maggiori sindacati attraverso il confronto con le parti sociali. L’estensione del permesso di soggiorno per chi è stato licenziato a tutto il periodo degli ammortizzatori sociali (2 anni e non sei mesi come previsto oggi); il recepimento della Direttiva europea 52 del 2009 che inasprisce le sanzioni a carico di chi impiega manodopera straniera irregolare; la lotta al caporalato; la riforma della legge sulla cittadinanza in modo da garantirla ai figli degli immigrati nati o cresciuti in Italia; il diritto di voto amministrativo, solo per citarne alcuni. Questo il terreno comune su cui muoversi.
Marina Porro dell’Ugl, il cui sindacato, di destra, raccoglie tra le percentuali più alte di iscritti stranieri (intorno al 9,5% sul totale) parla della mancanza di un organo centrale e nazionale vero e proprio che faccia capo al Primo Marzo. “Per questo anche noi aderiamo alle iniziative locali e lasciamo libere le nostre federazioni di partecipare a seconda di quello che è stato previsto nelle varie città”. Il segretario confederale con delega all'Immigrazione, invece, è più possibilista delle sue colleghe a immaginare nel futuro una mobilitazione generale, promossa dai maggiori sindacati, a difesa del lavoro, partendo dalla particolare condizione del lavoratore straniero.“Lo sciopero è un’arma spuntata - ci spiega - ma se parlando con le altre confederazioni si ponesse questa idea, noi non ci tireremmo indietro”.
Intanto Milano, con il ritrovo alle 18 in piazza Duca D’Aosta, Bologna, con il presidio in piazza Nettuno alle 15.30, Reggio Emilia, Modena, Parma, con la manifestazione delle 17.30 da piazzale Santa Croce, Imola, Pordenone, Padova, Trieste, Roma, Cagliari, Oristano, Palermo, Napoli, si stanno preparando al Primo Marzo. Anche quest’anno il movimento ha un profilo sovranazionale e porterà persone in piazza anche in Francia e in Austria.
Per tutte le informazioni riguardo alle adesioni e alla iniziative ancora in corso di programmazione del Primo Marzo, vi invitiamo a consultare la loro pagina Facebook.
Con mixamag.it
di Ginevra Battistini
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