Nouredine Adnane, venditore ambulante, si è dato fuoco l'11 febbraio dopo l'ennesimo - e ingiustificato- sequestro della merce. E' morto il 19 febbraio, dopo otto giorni di agonia.
LA TRAGEDIA. Raccontata in modo sintetico, e cioè dicendo solo che il venditore ambulante Noureddine Adnane si è dato fuoco dopo l’ennesimo sequestro della merce, la storia potrebbe anche essere, in qualche modo, tipicamente italiana.
Leggendone, mi sono venute alla mente le scene di Ragazzi Fuori di Marco Risi del ‘90. Lo ricordate? Giovani senza possibilità che escono dal carcere e si ritrovano nell’impossibilità di rientrare nella legalità per mancanza di opportunità e un ortodosso abbandono statale. Tra i protagonisti c’era Carmelo, che per guadagnare qualcosa faceva l’ambulante, in lotta costante con i vigili da cui si vedeva puntualmente sequestrato tutto. La lezione di Carmelo si poteva riassumere così: uno Stato che ti mette in galera senza fare niente per riabilitarti, che ti ributta in strada peggio di come ti ha preso e che poi ti ignora, ostacolando –e non valorizzando- i tuoi tentativi di costruirti una vita diversa. Ma Carmelo non è Noureddine: attenzione. Poiché Noureddine, a differenza del ragazzo siciliano, la licenza per fare l’ambulante l’aveva. Poiché Noureddine, e non è poco, era un immigrato marocchino.
La storia è di ordinaria esasperazione. Noureddine aveva ventidue anni, in Italia da dieci. All’ennesimo sequestro inflitto da un gruppo di vigili noto per il loro accanimento a danno di ambulanti immigrati, non ce l’ha fatta. E’ stato forse il bruciore della rabbia a spingerlo a cosparsi di benzina, a donare il suo corpo a fiamme veloci che l’hanno dilaniato. Il dolore di un’ingiustizia, sì. Di un sopruso. Perché l’accusa (quella di essere fermo nello stesso posto per più di un’ora) aveva un retrogusto troppo marcatamente razzista per essere digerita. Scivolando giù, gli si è bloccata in gola. E si è dato fuoco. Ma la sua protesta non è caduta nel nulla. Grazie anche alle testimonianze di altri ambulanti, la Procura ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio. Più di un collega di Noureddine ha riferito delle continue vessazioni ad opera dei vigili. Da uno, in particolare: noto come Bruce Lee, già militante di Forza Nuova, braccio ornato da una svastica tatuata.
Un’ingiustizia, sì. Un sopruso. Per questo il Comitato Primo Marzo ha deciso di dedicare a lui, ai suoi occhi, alla sua giovane età, al suo futuro mancato il prossimo sciopero degli stranieri. Perché la sua storia esca dal recinto di Palermo e si inietti nell’indignazione nazionale. Perché si possa riflettere sulla velocità con cui razzismo e xenofobia possono recidere una vita. Perché non ci si stanchi, non ci si senta inerti di fronte all’arroganza, alla protervia. Perché è quello che non diciamo, quello per cui non protestiamo a rinvigorire questi atti. Nel nome di Noureddine, quindi, il Primo Marzo tutta l’Italia sarà in piazza. E sarà attraverso i suoi occhi, attraverso il suo sguardo di ragazzo infranto, che grideremo il bisogno di un’Italia libera dalla metastasi razzista.
Con Corriere Immigrazione/Luigi Riccio
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