Centomila in strada a Budapest: nel mirino le riforme di Orban la svolta autoritaria del premier L'accusa: minaccia il pluralismo dei media e controlla la giustizia.
BUDAPEST
Decine di migliaia di persone - 100.000 secondo gli organizzatori, 70.000 per gli osservatori - hanno manifestato ieri sera a Budapest contro la maggioranza governativa del premier conservatore Viktor Orban: una mobilitazione senza precedenti a cui hanno risposto partiti di sinistra ed ecologisti, ma anche movimenti della società civile.
Al contrario degli scorsi appelli alla manifestazione, che avevano mobilitato non più di qualche migliaio di persone, stavolta migliaia e migliaia di cittadini sono scesi in piazza per protestare contro la nuova Costituzione ungherese, giudicata come una violazione della democrazia. La nuova carta costituzionale dell’Ungheria ha suscitato le critiche dell’Unione europea, del capo della diplomazia americana Hillary Clinton, del Fondo monetario internazionale (Fmi) e di numerose organizzazioni non governative: Orban è accusato, tra l’altro, di aver limitato i poteri della Corte costituzionale, di minacciare il pluralismo dei media e di aver messo fine all’indipendenza della giustizia.
Bruxelles si è detta «molto preoccupata» per la svolta nazionalista in Ungheria. La riforma costituzionale voluta da Orban è sotto la lente d’ingrandimento e se ci saranno i presupposti giuridici, ovvero le prove di violazione del diritto comunitario scatteranno procedure d’infrazione. L’avvertimento è stato lanciato dal portavoce della Commissione Europea, Olivier Bailly, che - pur con toni diplomatici - ha lasciato trasparire l’irritazione per le trenta leggi che hanno riscritto la Costituzione di Budapest. In particolare l’Europa vuole valutare «le conseguenze giuridiche» sulle libertà di stampa e di religione, per i diritti delle donne e l’indipendenza dei giudici nonchè della Banca centrale. Nel frattempo, Budapest si può dimenticare che riprendano i negoziati con Ue e Fmi per gli aiuti finanziari da 15-20 miliardi di euro chiesti per stabilizzare il fiorino in caduta libera sui mercati internazionali. Così mentre in Ungheria monta la protesta, oggi da Bruxelles è stato ricordato che uno dei dogmi dell’Unione europea è proprio l’indipendenza delle banche centrali.
«Non devono ricevere indicazioni dai governi» ha affermato Bailly, che ha sottolineato come a dicembre i rappresentanti di Ue e Fmi abbiano lasciato Budapest interrompendo per protesta i colloqui preliminari per la concessione degli aiuti. E «non è stata ancora presa una decisione» se sarà avviata la fase del negoziato formale, inizialmente prevista nel mese di gennaio. Un tentativo per sbloccare lo stallo direttamente con la direttrice del Fmi lo farà l’11 gennaio il negoziatore ungherese Tamas Fellegi, che volerà per questoa Washington. Le leggi volute da Orban sono «potenzialmente in violazione» di una serie di principi fondanti dell’Unione europea, ma se è vero che il presidente della Commissione Josè Manuel Barroso ed i vicepresidenti Viviane Reding (Giustizia) e Olli Rehn (affari economici) nelle ultime settimane hanno fatto pressing sul governo ungherese è anche vero che Orban ha tirato dritto. E da Bruxelles non è ancora arrivato un fermo «altolà». Una «posizione politica», ha spiegato Bailly, verrà presa quando gli esperti della Commissione avranno esaminato nel dettaglio i testi della trentina di leggi (da una decina di pagine ciascuna) approvate ed appena entrate in vigore. Il rischio è che però tutto finisca come con la ’legge-bavagliò varata all’inizio del 2011: con ritocchi di facciata che non hanno impedito la chiusura di ’Klubradiò, popolare emittente dell’opposizione, con la scusa di una redistribuzione delle frequenze. Anche su questo episodio la Ue ha annunciato di essere vigilante. L’arma di Bruxelles potrebbe essere proprio lo stop al piano di aiuti finanziari chiesto da Budapest, ma lo stesso Bailly ricorda che le nuove leggi di riforma costituzionale «sono state approvate da un parlamento legittimo» e quindi solo dopo che sarà stata accertata una violazione del diritto europeo sarà possibile reagire concretamente. Ed in ogni caso dovranno essere i governi «a dover tirare le conclusioni», come ha cominciato a fare oggi il ministro degli esteri francese Alain Juppè che ha appunto chiesto alla Commissione europea di fare l’analisi di quello che ha definito «un problema».
Via | la Stampa
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