sabato 25 giugno 2011

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venerdì 24 giugno 2011

VENERDÌ 24 GIUGNO ✮ KIZOMBA ROMANA - DOLCI EMOZIONI ✮ | ZOUK IN ROMA

Location:  Cafè Cretcheu
Via Ancona 13, 00198 Rome, Italia
Rome, Italy

✮ KIZOMBA ROMANA✮

- DOLCI EMOZIONI-

Kizomba | Zouk | Salsa | Afro/Black | Kuduro

SPECIALE EVENTO dalle 22:00 alle 04:00
al Cafè Cretcheu, in via Ancona 13, 00198 Rome - Piazza Fiume/Porta Pia

Entrata è gratis con obbligo di consumo, E D'ALMENO UN CAPO DI ABBIGLIAMENTO BIANCO.

Vieni a vedere !

ATTENZIONE
[ I nostri amici sono sempre educati e cortesi sia fuori che dentro al locale! ]

[ Si consiglia di arrivare presto altrimenti che senso c'è arrivare alla fine della serata.]

[ Tutti sono invitati a creare un ambiente famigliare, amichevole, e molto "kizombeiro". Tutti sul palco a ballare!]

Ulteriore informazione:
a) Cliccare su “Invita persone a partecipare” dal menu a destra.
b) Selezionare tutti i tuoi contatti
c) Clicca su “Invia Inviti”
+ siamo e + ci divertiamo!
Per info: 320.5320188 | 338.4994766 | 3490841557

mercoledì 22 giugno 2011

Libia/Guerra senza fine: In silenzio triplicano le morti della missione “umanitaria”

Le ultime drammatiche notizie provenienti dalla Libia su nuove vittime civili causate dai bombardamenti della NATO, (probabilmente non le uniche, vista l’intensità dei raid aerei dell’Alleanza e le denunce fatte in precedenza da alte personalità religiose locali) riportano all’attenzione della pubblica opinione  la natura stretta dell’operazione militare internazionale ora denominata “Unified Protector” e lanciata a suo tempo  con il supposto obiettivo di proteggere i civili dalla repressione del regime di Gheddafi.

Questa è  una guerra combattuta per rimuovere manu militari un regime, e per ridisegnare gli assetti di forza in una regione, quella del Maghreb, oggi attraversata da un vento di cambiamento che rischia di scuotere alle fondamenta gli obiettivi politico-strategici di gran parte dei governi che oggi partecipano alle operazioni della NATO.  Ancora una volta – come in Afghanistan – ci viene poi detto che  è in gioco  la credibilità ed il futuro della NATO, alleanza alla ricerca costante di una nuova ragione di esistere. In questo contesto, le vittime prime continuano ad essere il diritto internazionale e quelle popolazioni civili supposte beneficiarie dell’intervento, e che oggi si trovano intrappolate in un fuoco incrociato, trabombe umanitarie, operazioni militari sul terreno, e crimini di guerra commessi da tutte le parti in conflitto.

Questi elementi, assieme alla querelle tutta interna alla maggioranza sulla continuazione della missione in Libia , e l’annuncio dato nelle scorse ore da Berlusconi circa la decisione di porre termine alla partecipazione italiana alle operazioni a settembre, ci devono impegnare ad una più forte iniziativa di pace. Soprattutto in una fase nella quale opinione pubblica ed i media sembrano aver rimosso la guerra. Obiettivo principale dovrà essere quello di  rilanciare una soluzione pacifica e diplomatica al conflitto, in sostegno ad una transizione pacifica verso la democrazia in Libia,  anche sulla scia di quanto approvato  nel documento dell’ultima Assemblea nazionale di SEL.

Le operazioni militari sul campo ormai sono in un’impasse, un braccio di ferro nel quale la NATO spera di fiaccare definitivamente le truppe “lealiste” per poi costringerle a forza di defezioni , alla resa negoziata. Nelle condizioni attuali non sarà possible neanche lontanamente immaginare una tale soluzione.  Anzi quanto più  le ostilità si protrarranno, tanto più impraticabile diverrà quest’ ipotesi. Sarà perciò urgente  attivarsi ad ogni livello per un  cessate il fuoco immediato e la sospensione delle operazioni militari,  proponendo un processo di mediazione internazionale gestito e coordinato da governi e organizzazioni “terze” che non hanno avuto alcun ruolo nel conflitto in corso, e l’invio di una forza di interposizione ONU a tutela dei civili e del cessate il fuoco, composta da paesi che non hanno partecipato alle operazioni militari.

Di recente l’International Crisis Group, che già a suo tempo aveva stigmatizzato la decisione della comunità internazionale di imporre una “no fly zone” evidenziandone i rischi e le contraddizioni, ha rilanciato una proposta di mediazione e soluzione politica, che possa creare le giuste premesse per un futuro di pace e libertà in Libia. Tra le proposte quella di sostenere un processo di transizione democratica  negoziata tra i ribelli ed il regime, grazie all’intermediazione  di soggetti non coinvolti nel conflitto.

Certamente, e come riaffermato dalla think-tank,  le dichiarazioni fatte nell’ultimo vertice del G8 di Deauville  (“Gheddafi se ne deve andare”) sembrano chiudere ogni ipotesi di trattativa che possa prevedere un possibile esilio di Gheddafi. Qualche tempo prima il Procuratore Generale della Corte Penale Internazionale Moreno Ocampo aveva spiccato mandato di cattura internazionale per Gheddafi , che a questo punto non ha altra alternativa che quella di vendere cara la pelle.  A meno che l’abbandono della scena da parte di Gheddafi venga considerato non come condizione necessaria per l’avvio del processo di transizione democratica, ma la sua conseguenza.

Proprio su questo punto si è arenata la recente missione di mediazione russa a Tripoli, mentre la Cina ha deciso pragmaticamente di cambiare rotta aprendo un canale diretto con il governo provvisorio di Bengasi. Più in generale, ed anche in vista della necessaria elaborazione programmatica di SEL e dell’interlocuzione con le forze del centrosinistra e della sinistra diffusa e sociale, sarà necessariocomprendere a fondo le sfide politiche e intellettuali che questo intervento militare in Libia propone. La risoluzione 1973 marca un passaggio epocale nella storia delle Nazioni Unite, pieno di rischi ed incognite.

E’  la prima volta – infatti – che viene messo in pratica il principio della Responsibility to Protect (R2P). Questo principio, sviluppato in seguito alle stragi di civili di Srebrenica e Ruanda, delinea un approccio che mette al centro i diritti e la dignità delle persone rispetto a quelli della sovranità degli stati  Su questo punto andrà fatta chiarezza. Non possiamo rimanere impassibili di fronte a violazioni ripetute dei diritti umani, né di fronte a crimini contro l’umanità. In linea di principio può essere  condiviso il passaggio dal principio della “non ingerenza” quello della “non-indifferenza” ed anche la possibilità che la comunità internazionale si assuma la responsabilità di   attivarsi  qualora il governo di uno stato venga meno alle sue responsabilità nei confronti dei propri cittadini, violandone sistematicamente i diritti umani.

Con altrettanta fermezza  però va affermato che il principio della R2P può essere accettato solo se nonutilizzato in maniera selettiva, assicurandone la gestione e l’attuazione da parte di soggetti ed entità “terze” e laddove  la sua applicazione non sia fondata sugli strumenti propri di un approccio “militare” alla sicurezza. Il problema vero è quando sulla scorta di un principio, condivisibile sulla carta,  si passa poi a pratiche o modalità di applicazione che  creano pericolosi precedenti per giustificare la guerra. La genesi e lo svolgimento della guerra in Libia ne sono la riprova, visto che fin dall’inizio si decise di  dare massima enfasi allo strumento militare (no fly zone, no drive zone etc) piuttosto che agli strumenti politici, ed economici, e di mediazione internazionale.

Inoltre, il fatto che tale decisione fosse lasciata al Consiglio di Sicurezza, (che è noto essere organismo nel quale 5 superpotenze fanno la differenza attraverso il diritto di veto), rende ancor più evidente il rischio di un approccio opportunistico alla R2P fondato essenzialmente sugli interessi strategici o di “realpolitik” dei principali attori politici globali.  Per dare un senso compiuto al principio della “non indifferenza”  o meglio della “responsabilità” , e sgombrare il campo da ogni applicazione opportunistica dettata solo da interessi geopolitici,  andrà pertanto  riaperta una discussione sul tema della riforma delle Nazioni Unite che con questa vicenda rischiano di uscirne ulteriormente indebolite se non trasformate nella loro ragion di esistere.

L’Assemblea Generale dovrà avere un ruolo centrale nel democratizzare i processi decisionali sul ricorso alla R2P che dovranno essere tolti alla competenza del Consiglio di Sicurezza. Andranno poi creati strumenti d’interposizione ed intervento a difesa dei civili sotto comando delle Nazioni Unite e non subappaltati alla NATO. Inoltre sarà necessario sviluppare politiche di prevenzione dei conflitti che possano permettere alla comunità internazionale di attivarsi in anticipo con misure politiche ed economiche per prevenire possibili escalation che mettano a rischio la vita di civili. Quegli stessi che oggi muoiono sotto le bombe della NATO o quelle delle truppe “lealiste”, a Tripoli come a Misurata.

Francesco Martone

sinistraelibertà

domenica 19 giugno 2011

NATO/BOMBE QUI E LA: Ecco ciò che non sapete sull’immigrazione in Libia e dalla Libia

Le domande irrisolte sulla Nato, la cucina tipica, i lavori che i libici non vogliono fare e le code delle mogli ai distributori

Tripoli. Segnali di trattativa, forse. Vedremo se Gheddafi sarà capace di offrire un’onorevole via di uscita alla Nato, che ieri notte ha bombardato per inerzia. Perché se le cose andassero avanti così, con Bengasi incapace di vincere sul terreno, coperta di onori diplomatici e buona parte del petrolio, e dall’altra parte Gheddafi pariah della comunità internazionale, forte del suo apparato militare, del consenso di una parte della società, della paura dell’altra e di riserve di gas e uranio è possibile che si arrivi a una spartizione della Libia. Fino a quando la Nato potrà reggere il peso delle sue incerte certezze, di questi bombardamenti esemplari e netti?

Ho già parlato di alcuni di questi temi, e oggi voglio esercitarmi su temi più futili, parlarvi della decisione con cui la Confederazione africana del calcio ha confermato la Libia come sede della Coppa d’Africa 2013. E’ un’occasione per parlarvi del calcio libico, come si fa nel caffè affacciato sulla piazza verde che conserva foto color seppia che ricordano, come in un Guerin Sportivo, le glorie del rettangolo libico. Dirvi dell’al Ittihad, la squadra  in cui ha giocato Saadi Gheddafi. I tifosi dell’altra squadra di Tripoli, l’al Ahli, sostengono che gli avversari si gettassero a terra, pur di far segnare il rampollo del rais (gli altri, di rimando, affermano che l’al Ahli abbia raccolto l’eredità dello scomparso Maccabi, la squadra della comunità ebraica cancellata dai pogrom). E di come un italiano, Franco Scoglio, chiamato ad allenare la nazionale libica, rifiutò di schierare il rampollo, e approfittò di una trasferta per scappare a Malta, altro che Zamparini.

Avrei voluto parlarvi della cucina, e delle evidenti eredità italiane ed ebraiche. Dei media libici, della qualità – buona – degli spot propagandistici, di quel conduttore, Yosif Shakeir, che tiene ogni sera un talk show dicendo di ispirarsi a Larry King (la sera che annunciò la notizia falsa dell’est riconquistato scatenò una sparatoria di giubilo che spaventò Tripoli). Ma, alla fine, di una sola cosa mi sento debitore, non avendone mai parlato: l’immigrazione. In Italia ci sono molti equivoci, e scambiamo i volti sconvolti da una traversata difficile (a volte mortale) per i volti di chi fugge dalla disperazione. In Libia – sei milioni di abitanti – c’erano tre milioni di immigrati. Molti sono fuggiti subito, tornando ai paesi d’origine o restando nei campi tunisini. Alcuni sono rimasti e inscenano manifestazioni pro Gheddafi, sventolando le bandiere dei propri paesi. Molti sono restati a lavorare, perché i libici non fanno i muratori, né i giardinieri, né i guardiani notturni, né i domestici. La borghesia si lamenta che la scarsità di manodopera ha portato lo stipendio mensile del personale da 230 euro al mese a 370. Chi scappa lo fa cogliendo l’incertezza del futuro, o l’occasione di andare in Europa. E’ facile: l’altro giorno due senegalesi che facevano le pulizie in un albergo sono scomparsi. Un conoscente mi ha detto che li ha contattati il governo, ha dato loro duecento euro a testa, e indicato dove dovevano recarsi. Il governo ha fornito la barca e un telefonino satellitare, e poi si parte con il primo mare calmo.

Beh, non c’è altro da dire. Vedo le file ai distributori allungarsi, e la trovata di assegnare un distributore ai tassisti, uno ai medici e uno alle donne non funziona, scoppiano liti. Qualcuno affida l’auto alla moglie, che ha guidato una sola volta in vita sua, per fare code più brevi. Più modestamente, è solo il mio ultimo giorno a Tripoli. Ma’ assalama.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Toni Capuozzo

Guerra sociale in Grecia: Senza una politica economica comune l’Europa è già morta

C’era una volta la Grecia. La Grecia che si parla in questi giorni è ormai lo spettro di un paese che non c’è più. La morte dello Stato greco può essere letta come diretta conseguenza del sonno e/o assenza della politica lì dove avrebbe dovuto intervenire, regolare e controllare: il campo della finanza creativa, i crediti senza, la lotta contro la corruzione, il controllo delle grandi opere, il coinvolgimento della popolazione in vista di grandi cambiamenti, etc. La politica ultraliberista ha scelto di non controllare l’economia del paese mentre i pesce canni dell’economia globale hanno fatto ciò che sanno fare: sottomettere il paese al loro gioco.

Sotto trovate la violenza gratis contro uno dei manifestanti che si oppone alle sconvolgenti misure di austerità che il Governo greco cerca di varare in vista di arginare la crisi totale e dichiarare lo stato di fallimento.

c'era una volta la grecia-guerra-sociale-per-crisiSe questa è la democrazia…

Guerra sociale in Grecia: Dov’è l’UE?

c'era una volta la grecia-guerra-sociale-per-crisiC’era una volta la Grecia: Se le misure di austerità non convincono i cittadini

Castel Volturno: Al via il Festival dell’impegno civile, ma senza i beni: “Sono stati revocati”

logo_de_ Festival_dell’impegno_civile_2011 Castel Volturno. Il Festival dell’Impegno Civile giunge a Baia Verde, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, presso il bene confiscato la Casa di Alice assegnato all’associazione Jerry Essan Masslo presieduta dal Renato Natale. La tappa, però, subirà una modifica rispetto al programma ufficiale, alla luce degli ultimi eventi che hanno riportato la città di Castel Volturno e la comunità di immigrati alle attenzioni della stampa nazionale per fatti di cronaca. Non si tratterà di una due giorni di festa, ma di un’occasione di riflessione. La prevista sfilata di abiti realizzati da cittadini immigrati, che da alcuni mesi animano la sartoria sociale, la cui sede è proprio presso la Casa di Alice, è stata annullata.

Una tra le principali artefici del laboratorio di sartoria, la cittadina ghanese Atta Bose, è la mamma di Mary Morad la bambina di sette anni assassinata sabato scorso e ritrovata, poi, in un canale dei Regi Lagni. Sarà sì presentato il laboratorio, “Vestiamo la legalità”, ma soprattutto, sarà espressa vicinanza e solidarietà a Atta affranta e disorientata in questo momento di estrema difficoltà.

La tappa del Festival proseguirà con una ulteriore e significativa riflessione. Si discuterà sul cosiddetto “Modello Caserta”, oramai “diventato uno slogan del buon governo e dell’attacco, messo in atto -si legge nel comunicato- dai vertici delle amministrazioni locali, quella di Trentola Ducenta prima e di Castel Volturno poi, che hanno richiesto la restituzione dei beni confiscati sino ad ora gestiti, con successo, da associazioni del territorio”.

“Solamente pochi giorni fa, il neo sindaco del comune di Trentola, Michele Griffo -si legge in una nota degli organizzatori- ha ufficialmente comunicato di non voler rinnovare l’affido alla Compagnia dei Feliconi della Comunità di Capodarco, della villa che lo Stato ha sottratto al boss del clan dei casalesi, e ora collaboratore di giustizia Dario De Simone. Altrettanto ha fatto il primo cittadino di Castel Volturno Antonio Scalzone che, con una missiva recapitata lo scorso venerdì, ha comunicato che l’associazione Jerry Masslo deve restituire la villa di Baia Verde un tempo di proprietà di Pupetta Maresca. La Compagnia dei Felicioni è accusata dal primo cittadino di non combattere la camorra offrendo ospitalità, sotto quel tetto, a bambini vittime di violenze. Mentre la Jerry Masslo, secondo Scalzone, non riutilizza quella struttura che l’allora commissario ha voluto affidare”.

L’inizio dell’incontro è previsto per sabato 18 giugno (18). Il 19 giugno (ore 20.30),  presso la piazza Castello di Castel Volturno si terrà il concerto promosso dalle associazioni JERRY MASSLO e Black and White, Centro Sociale EX-Canapificio e Caritas Caserta con Jovine feat Zulù, Ciccio Merolla, Kalifoo Ground, Tribe e Sud Eloquent.

Con Volontariatoggi.info

venerdì 17 giugno 2011

Diritti Globali 2011: L’insostenibile pesantezza del modello dominante (Rassegna)

La copertina del Rapporto 2011Per dirla con il sociologo Edgar Morin: «Salvarsi dalla catastrofe è improbabile, perciò ci spero» (“La Stampa”, 27 marzo 2011). È un po’ questo il senso dei colori della copertina del Rapporto sui diritti globali di quest’anno: un blu intenso e predominante ci dice delle difficoltà di un mondo alle prese con la crisi globale, con la disumanità delle guerre, dei terrorismi e delle violazioni dei diritti, con la devastazione ambientale che sembra conoscere ripensamenti troppo lenti e timidi; ma c’è anche un punto di verde che si affaccia e reclama un’incerta speranza, che allude a un orizzonte di futuro possibile, più degno e giusto per tutti. C’è il colore cupo del cimitero liquido che inghiotte a migliaia nel Mediterraneo e nel Canale di Sicilia uomini, donne e bambini in fuga e c’è il pallido verde del sogno di una vita desiderabile negli interstizi della Fortezza Europa. C’è lo scuro della privazione della libertà e del domani, della fame, della sete, della rapina delle risorse, del sottosviluppo e c’è il tenue ma tenace verde della liberazione e della rivolta che s’impongono al mondo e rovesciano i tiranni.

  • L’osceno mestiere delle armi

Il Maghreb ci ha insegnato, giacché lo avevamo dimenticato, che ribellarsi è giusto e talvolta diviene possibile. Assieme, ci ha mostrato come, ancora e sempre, le grandi nazioni, l’Europa e le organizzazioni mondiali siano incapaci d’interposizione positiva e scelgano sempre la scorciatoia (spesso interessata) dell’intervento militare. La guerra è una moneta che non va mai fuori corso. Anche in quest’anno l’abbiamo vista all’opera con le consuete -e micidiali- caratteristiche in Iraq, in Afghanistan e, ora, in Libia; oltre che nei tanti focolai e incendi minori sparsi per il mondo e, in particolare, nel continente africano.

Il Novecento, secolo breve e insanguinato, ha traghettato nel nuovo millennio inalterate volontà di potenza e strumenti bellici più raffinati ma non meno mortiferi. Strumenti più raffinati non tanto in virtù dei giganteschi progressi (meglio in questo caso sarebbe definirli regressi) tecnologici: non più guerre di uomini contro uomini, di soldati contro soldati, ma cinici e oltremodo distruttivi war games truccati dall’inizio, proprio come per la «pistola fumante» di Saddam Hussein; quanto per la cortina fumogena e propagandistica con la quale se ne sono oscurati totalmente gli effetti, con la macelleria scomparsa dai video e occultata dall’informazione embedded, nobilitata dalla vergognosa retorica di certi editorialisti e dal doloso rovesciamento di senso delle parole, che definisce umanitari la distruzione e l’eccidio. Alla violenza delle armi si intreccia così, sapientemente, quella della torsione della verità. Violenta e vile anch’essa.

Che la guerra sia cinica e che le parole tentino di mascherarne la vera essenza e la cruda sostanza, del resto, non è storia di oggi. Alle due bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki il 6 e 9 agosto 1945 erano stati dati i vezzosi nomignoli di Little Boy e Fat Man. I morti furono oltre mezzo milione, tra quanti morirono subito e quanti in seguito, per effetto delle radiazioni. Praticamente tutti civili. Una strage forse più infame delle tante altre, poiché non motivata da strette esigenze belliche quanto dalla volontà di testare le nuove armi e di ammonire l’alleato-nemico sovietico. Un esperimento in corpore vili, come si dice, ma in questo caso la viltà stava in chi premette quei pulsanti e ancor di più in chi decise che venissero premuti. Per quell’immane crimine non ci fu nessuna Norimberga. I vincitori, oltre che la propria forza e il nuovo ordine, impongono difatti anche la nuova morale e il proprio diritto.

Allo stesso modo, ieri e oggi nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq, in Libia, si testano nuovi armamenti e si smaltiscono i vecchi arsenali obsoleti, così da poterli nuovamente ricostituire ammodernati; costa difatti meno smaltirli impiegandoli sul campo: la vita umana, fatta diventare merce, è quella che vale meno di tutte. La guerra odierna delle grandi potenze è, eminentemente, “esternalizzata”: aggressione di privati armati (mercenari nobilitati con il nome di contractor) contro civili disarmati (mistificati con il marchio di terroristi, il più delle volte a torto). Guerra dell’Occidente contro i Sud del mondo. Guerra delle multinazionali per l’apertura di nuovi mercati. Guerra di governi e coalizioni mossi dalla necessità di garantirsi accesso a risorse energetiche e materie prime strategiche. Addirittura, guerra scatenata semplicemente dalla necessità di rinverdire la propria immagine per fini elettorali e di consenso, come nell’accelerazione imposta da Nicolas Sarkozy all’intervento e ai bombardamenti dei “volenterosi” (sic!) in Libia.

In quei giorni, mentre persino “grandi vecchi” della sinistra italiana appoggiavano l’intervento bellico contro Muammar Gheddafi, la parola più appropriata l’ha pronunciata, e tra i pochi, un ministro leghista: neocolonialismo. Nel caso di Roberto Calderoli si è trattata di una forma, assai poco credibile, di razzismo-pacifismo. Ma non di meno il termine utilizzato appare pertinente. La guerra ha assunto (o, più probabilmente, ha sempre costitutivamente avuto) la fisionomia propria della finalizzazione colonialista, vale a dire del depredamento di risorse e ricchezze, ora con particolare centralità di quelle energetiche, di posizionamento e di protezione di interessi geostrategici. Quando possibile, ciò avviene attraverso un combinato disposto di macrospeculazioni finanziarie e di azione convergente di Banche centrali, governi e istituzioni sovranazionali. Illuminante di questa tecnica (solo in apparenza priva di effetti letali) il caso della Grecia, dove dietro alla facciata degli “aiuti”, è passata la subordinazione del presente e del futuro di quel Paese a decisioni esterne e sinanche il pregiudizio di sue porzioni di territorio, poste a pegno della (impossibile) restituzione del debito, laddove peraltro il credito è cedibile a terzi. Quando, per ragioni diverse, il “colonialismo dolce” non può avanzare in punta di deliberati finanziari e di subordinazione di esecutivi e leadership locali agli interessi delle corporation, si torna ai più antichi e collaudati sistemi, alla punta delle baionette, vale a dire all’occupazione fisica, come in Iraq e Afghanistan o ai protettorati e ai “governi-fantoccio” a presidio e garanzia degli interessi occidentali. Esemplare al riguardo il ruolo e la diretta ingerenza avuti dalla Francia, ad aprile 2011, nella crisi interna della Costa d’Avorio, ex colonia dove gli interessi francesi sono tuttora assai cospicui, sino alla cattura e deposizione del “presidente illegittimo” e divenuto sgradito Laurent Gbagbo.

Anche qui, poco di nuovo: le politiche del bastone e della carota, dei governi amici, dei golpe e dell’intervento militare sono gli strumenti utilizzati nel corso del Novecento nel risiko planetario dalle due superpotenze di allora, dagli USA nel “cortile di casa” latino e centro americano e dall’URSS nell’Est Europa e da entrambe in Africa, Medio Oriente e Asia.

Ora i rovesciamenti, traumatici o “dolci”, dell’ordine esistente non si chiamano più golpe o guerre coloniali ma con gli ossimori “guerre umanitarie” o “missioni militari di pace”: le intenzioni e i risultati non sono dissimili. La differenza è che a quel tempo gli interessi perseguiti erano quelli, appunto, di potenza degli Stati che si erano divisi il mondo; oggi sono eminentemente quelli delle grandi multinazionali. D’altra parte, è forse necessario anche qui provare a riportare le parole al loro reale significato. Appare, in effetti, arduo considerare e definire come guerra la pratica dei bombardamenti aerei, che è divenuta la costante. A rischio zero per chi la compie e oltremodo devastante per chi ne è vittima. Persino il terrorismo comporta rischi e conseguenze per i suoi autori. In questo caso, invece, la sproporzione è evidente. Non c’è qui bellum né duellum, non c’è neppure l’osceno mestiere delle armi: c’è solo la supremazia dei missili e dei sistemi elettronici, degli investimenti multimiliardari dei governi e degli immani profitti delle lobby transnazionali. La definizione appropriata di tutto ciò sarebbe quella di stragismo su vasta scala.

  • La catena di montaggio della morte

Secondo i dati dell’osservatorio mensile sulle vittime dei conflitti, pubblicati nel nuovo periodico di Emergency, “E – il mensile”, solo dal 10 febbraio al 10 marzo 2011 vi sono state 2.544 vittime disseminate in 20 Paesi. In testa alla triste lista l’Afghanistan, con 550 morti e il Pakistan con 404. La Libia ancora non era conteggiata. Si tratta di cifre sicuramente inferiori alla realtà, poiché provenienti solo dalle rilevazioni sul campo di organizzazioni umanitarie e da fonti di stampa, ma sufficienti a fare comprendere gli effetti delle ingerenze umanitarie e degli squilibri mondiali. Vale anche qui il cinico rovesciamento della realtà e del nome delle cose. “Missioni di pace”, invocate in nome della difesa delle popolazioni civili dalle violenze di satrapi e dittatori, si sono regolarmente (e inevitabilmente: di questo occorrerebbe che si rendessero conto i sostenitori in buona fede dell’intervento in Libia o, prima, in Bosnia) tradotte in una crescita esponenziale proprio di quel genere di vittime. Relativamente all’Afghanistan, nel solo 2010, le organizzazioni umanitarie hanno registrato 2.777 vittime civili, in aumento del 15% rispetto all’anno precedente (ma per i bambini la crescita delle morti è stata addirittura del 66%). Di almeno 440 di queste vittime sono responsabili le forze di sicurezza afghane e le truppe internazionali “di pace”.

Ancora più grave il quadro dell’Iraq, dove il bilancio di Iraq Body Count dall’inizio del conflitto nel 2003 all’aprile 2011 indica in oltre 100.000 le morti civili. Sicuramente neppure Saddam Hussein, con lo sterminio dei kurdi e degli oppositori, sarebbe riuscito a tanto. Pure l’Italia ha fatto la sua parte, spendendo peraltro in questa guerra sinora oltre tre miliardi di euro. Certo assai meno degli USA, il cui budget 2011 per la Difesa (che sarebbe invece proprio chiamare spesso per l’Offesa) è di 725 miliardi di dollari, di cui circa 200 per le missioni in Afghanistan e Iraq.

La guerra, insomma, oltre a non essere mai giusta e mai necessaria, non difende i civili, ma contribuisce a ucciderli e a esporli ancora di più alla spirale della violenza. Sono altri gli strumenti. Ma il gioco, ormai collaudato, è quello di lasciare degenerare a tal punto la situazione che non si rendano più praticabili soluzioni politiche e diplomatiche, di interposizione e pressione, di mediazione e trattativa. Allora si dice: non c’è altra soluzione dell’intervento militare. Invece, le soluzioni alternative c’erano e ci sono sempre. Basta porsi in quell’ottica e zittire le pressioni interessate delle lobby. E magari destinare alle alternative anche solo una piccola parte della montagna di risorse economiche impiegate per le opzioni belliche.

Del resto, al di là di ogni valutazione nel merito e dei possibili -e anzi necessari- distinguo, è paradossale che il premio Nobel per la pace sia stato assegnato al presidente di uno Stato mentre questi era in guerra su più fronti. E’ anche questa distanza tra le cose e il nome a esse attribuito dall’opinione e dalla morale dominante che determina l’esteso e crescente -preoccupante sotto il profilo democratico- sentimento di repulsa per la politica.

Di Sergio Segio, coordinatore del “Rapporto sui diritti globali 2011″ | Volontariato Oggi
(scarica l’introduzione completa)

Libia, tanti rischi e pochi soldi: finiamo questa guerra inutile.

Dice Roberto Maroni che possiamo ben risparmiarceli i soldi delle bombe sulla Libia e degli immigrati dalla Libia, visto che da quella missione pantano gli americani che ci avevano chiesto di partecipare si stanno già defilando ufficialmente, accusandoci anche di negligenza. Ha ragione, possiamo ben essere d’accordo con il ministro dell’Interno (e col governatore Formigoni) noi che sulle pagine di Libero l’abbiamo chiamata fin dal primo giorno una guerra da pazzi, noi che, per la verità in scarsa compagnia, cito giusto Souad Sbai, parlamentare che quel mondo lo conosce come pochi e che si è esposta subito, l’abbiamo scritto manco avessimo la sfera di cristallo, ma si chiama buon senso, che era una avventura stupida quanto avida, priva di tattica, strategia, progetto politico. Francia e Inghilterra a caccia di petrolio e di riscatto dalle figuracce in Tunisia e in Egitto si sono buttati, con l’appoggio della nuova politica internazionalista di Barack Obama in una guerra che non va da nessuna parte; la Germania saggiamente ha fiutato la trappola antieuropea partita da Washington e ha detto di no; l’Italia, che pure ben sapeva come le sedizoni di Bengasi non vadano scambiate con rivolte nazionali, l’Italia che con il dittatore aveva faticosamente e abilmente raggiunto un accordo di grande utilità sul contenimento degli sbarchi e ottimi affari in Libia, ha provato a resistere, poi ha ceduto alle pressioni. La collocazione geografica forse in parte obbligava, ma qualcuno prima o poi ci rivelerà il contenuto della famosa telefonata partita dalla casa Bianca verso Palazzo Chigi, qualcuno ci racconterà il ruolo del Quirinale, l’entusiasmo per le bombe “umanitarie”, e tanti altri dettagli inspiegabili. Se poi dovesse venir fuori che alla vigilia dell’attacco sferrato da Sarkozy senza preavviso né autorizzazione Nato, Gheddafi stava veramente trattando un passaggio di poteri che avrebbe potuto essere indolore, allora l’intrigo internazionale sarebbe veramente servito.

Il punto ora è se e come uscirne, possibilmente contenendo le perdite economiche e di sicureza nazionale. Il sottosegretario alla Difesa Usa, Robert Gates, uno che ha attraversato epoche e presidenti, dal Vietnam all’uccisione di Bin Laden, uno che ha dominato nei circoli realisti di Bush Padre, in quelli neoconservatori di Bush figlio, per approdare al pasticcio di Obama, nei giorni scorsi, parlando dell’intervento della Nato in Libia, ha spiegato che «è dolorosamente evidente che le lacune di investimenti e la mancanza di un largo consenso politico possono compromettere la possibilità di condurre una campagna militare integrata, efficace e duratura». Per lui l’Alleanza è a due velocità, visto che due terzi delle spese militari vengono pagate dai contribuenti americani i quali potrebbero «perdere la pazienza».

Certo è che In Libia, la missione "Comando Unificato" ha già superato i limiti prefissati e non ha prodotto il risultato di sconfiggere il Colonnello Gheddafi. L’esercito lealista resiste, gli insorti si sparano soprattutto sui piedi e in aria, coordinamento delle operazioni, fornitura di armi, addestramento, bombardamenti dall’aria non servono. Gheddafi si fa vedere e gioca a scacchi, come ha fatto giustamente notare Maroni, nel senso che ci prende in giro e ci manda anche a dire, a noi italiani, che con tutti è pronto a trattare tranne che con il traditore Berlusconi e il suo uomo Frattini.

Naturalmente qualche ragione a prendersela con l’Europa Gates ce l’ha. Gli europei hanno costruito i loro costosi sistemi di welfare inghiottendo i fondi destinati alla Difesa. Insieme, gli eserciti di Londra e Parigi non fanno quello israeliano, Sarkozy gioca alla grandeur indipendente, ma il budget dei francesi è appena il 6 per cento di quello americano, e il 7 quello degli inglesi. Anche  l’Italia per riuscire a far lavorare, il centro delle operazioni aeree richiede un aumento di specialisti provenienti in larga parte dagli Usa. Ma anche il Presidente Democratico sta seguendo una politica interna fatta di alta spesa pubblica e forti investimenti federali a svantaggio del budget militare, centinaia di miliardi di dollari in tagli al Pentagono nei prossimi 12 anni. Gates non è d’accordo, teme il rischio degli anni settanta e degli anni novanta, sempre presidenti democratici erano, e contesta i tagli lineari di Obama. Molti rischi, pochi soldi, grande confusione politica, tra l’Europa divisa e debole e un America in campagna elettorale. Perché allora cascare nella trappola di una guerra inutile a Gheddafi? Già, perché?

di Maria Giovanna Maglie | Libero

mercoledì 15 giugno 2011

Zouk in Roma vs Kizomba in Roma = Kizomba Romana Eventi

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[ I migliori eventi di Kizomba vs Zouk in Roma! ]
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Per info: 320.5320188 | 338.4994766 |

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Zouk in Italia vs Kizomba in Italia = Kizomba Romana Eventi

martedì 14 giugno 2011

Via da Napoli la portaerei "Bush" !

Proprio mentre ci prepariamo a votare sì al referendum per scongiurare il ritorno del nucleare civile in Italia, la minaccia atomica arriva da noi sotto forma di un enorme natante a propulsione nucleare, ancorata da oggi nel golfo di Napoli.

11 giugno 2011 - Comitato Pace e Disarmo

Proprio mentre ci prepariamo a votare sì al referendum per scongiurare il ritorno del nucleare civile in Italia, la minaccia atomica arriva da noi sotto forma di un enorme natante a propulsione nucleare, ancorata da oggi nel golfo di Napoli. Si tratta della portaerei americana “H.W. Bush”, alla guida di un... imponente gruppo navale d’attacco, diretto molto probabilmente verso la Libia. Si tratta d’un gigantesco vascello nucleare - con a bordo 6.000 uomini, 56 aerei e 15 elicotteri – che non è solo una base militare galleggiante, ma anche una vera e propria centrale nucleare, fornita di 2 reattori ad acqua pressurizzata, la cui pericolosità non è inferiore a quelli di Fukushima.
A breve distanza da una città densamente abitata come Napoli, il pericolo atomico si materializza, quindi, sotto forma di micidiale e formidabile concentrato di quel nucleare civile definito ‘buono’ e di quello di fatto ‘cattivo’, visto che ha come obiettivo la distruzione e la contaminazione dei territori nemici. E’ quello che il Comitato Pace Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio della Campania sta denunciando da anni, con appelli, comunicati e manifestazioni di protesta.
Oggi, sabato 11 giugno, gli attivisti del Comitato tornano al Porto – con la tuta bianca simbolo del rischio nucleare – per informare la popolazione della gravità di questa minaccia, contro la quale nessuna autorità è finora intervenuta. Il Comitato ha già diffidato il Sindaco uscente di Napoli per essere stato inadempiente nel ruolo di garante della sicurezza dei cittadini e per non averli neppure informati di questo pericolo, come previsto dalla legge (artt.129 e 130 del D. Lgs. 230/95 (“Obbligo d’informazione” e “Informazione preventiva”). Sarà chiesto un incontro urgente col nuovo Sindaco, Luigi de Magistris, dichiaratosi più volte a favore di una Napoli di pace, smilitarizzata e denuclearizzata, per sollecitare un suo intervento su questa sconcertante vicenda, che ne conferma, invece, il ruolo di avamposto strategico USA e NATO nel Mediterraneo.
Chi entra con una centrale nucleare nel porto di Napoli minaccia anche te.
Digli di smettere !

Libia, per il Sudafrica la Nato sta abusando della risoluzione Onu

libia_bombardamenti_della_nato_destuzione_di_massaIl linguaggio delle bombe

Cape Town/Reuters, 14Giug - La Nato sta abusando della risoluzione dell'Onu per proteggere i civili libici dalle forze di Muammar Gheddafi, al fine di ottenere un cambio di regime e omicidi politici. Lo ha detto oggi il presidente del Sudafrica Jacob Zuma.

"Ci siamo espressi contro un uso improprio delle buone intenzioni contenute nella risoluzione 1973", ha detto Zuma nel corso di un discorso in Parlamento.

"Siamo fermamente convinti che la risoluzione sia oggetto di abusi per (ottenere) una cambiamento di regime, assassinii politici e un'occupazione militare straniera".

SABATO 17 GIUGNO ✮ KIZOMBA ROMANA - WHITE NIGHT ✮ | CAFE CRETCHEU |

Quando: Venerdì 17 giugno 2011 | dalle 22:3 alle 4:00 |
Dove: Cafè Cretcheu | Via Ancona 13, 00198 Rome, Italia |

MOMENTI DI KIZOMBA ROMANA

- ✮✮WHITE NIGHT✮✮ -

 Kizomba Romana - white party-in-roma3 
✮✮TUTTI VESTITI DI BIANCO PER NOTARSI NELLA NOTTE✮✮

SPECIALE EVENTO dalle 22:00 till late!
al Cafè Cretcheu, in via Ancona 13, 00198 Rome - Piazza Fiume/Porta Pia

Insieme per:
* Kizomba vs Zouklove
* Reggaeton vs Hip Hop
* Salsa vs * R&B
* Kuduro
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* Dance vs 80\90 style
* Reggae
*Coupe Dekale & much more.

WORLD MUSIC ON YOUR HEART!

Entrata è gratis con obbligo di consumo, E D'ALMENO UN CAPO DI ABBIGLIAMENTO BIANCO.
- Si mangiano degli stuzzichini ed altri cibi tipici.

LA NOSTRA FORMULA:
Ricominciamo dal Cafè Cretcheu. Questa è la nostra via. Puntiamo a creare momenti di amichevoli incontro dove vivere intensamente il ritmo della Kizomba e degli stili targati (Afrolatin sound ).

=> Tutti i venerdì ci troveremo al Cafè Cretcheu, come amici e come amanti del divertimento. L'ambiente lo costruisci tu, porta con sè i tuoi amici e amiche.
Vieni a vedere !

ATTENZIONE
[ I nostri amici sono sempre educati e cortesi sia fuori che dentro al locale! ]
[ Si consiglia di arrivare presto altrimenti che senso c'è arrivare alla fine della serata.]
[ Tutti sono invitati a creare un ambiente famigliare, amichevole, e molto "kizombeiro". Tutti sul palco a ballare!]

Ulteriore informazione:
a) Cliccare su “Invita persone a partecipare” dal menu a destra.
b) Selezionare tutti i tuoi contatti
c) Clicca su “Invia Inviti”
+ siamo e + ci divertiamo!

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Kizomba Romana - white party-in-roma0000000000  Kizomba Romana - white party-in-roma2 
Per info: 320.5320188 | 338.4994766 | 3490841557
Non mancare, perderesti davvero una bella serata!

Kizomba Romana Eventi & Cafè Cretcheu

Libia/Guerra senza fine: L’ipocrisia dei pacifisti italiani e cittadini benpensanti (Rassegna)

E sul sito dell'Aeronautica Militare Italiana, la missione non compare tra le ''Operazioni internazionali''

In Libia continuano i raid - anche italiani - ma nessuno ne parla. Né si trova più mezzo pacifista disposto a manifestare contro la guerra portata nel Paese di Gheddafi. Improvvisamente sono sparite le bandiere arcobaleno, i vari Alex Zanotelli, i cori, le fotine con la bandiera "dei ribelli" dalle iconcine di Facebook. Tutti si sono girati dall'altra parte.

Il mandato dell'Onu, l'ombrello della Nato e un misto di ipocrisia e buonismo deve aver convinto media e cittadini che in fondo qualche bomba possiamo pure sganciarla anche noi. Gli unici a fare ancora un po' di cagnara sono quelli della Lega. Ma non per amore del popolo di Gheddafi - no - quanto per le conseguenze sull'immigrazione clandestina.

Le bombe della "coalizione", intanto, proseguono a tartassare Tripoli e le forze lealiste. Qualche volta hanno sbagliato e la segnalazione di civili massacrati dal "fuoco amico" - quello giustificato dalla risoluzione 1973 votata dalle Nazioni Unite - è giunta fino in Europa e verrà esaminata. Anche qui, non c'è stato mezzo pacifista disposto a scendere in strada nel nome della pace. La Libia pare ormai sia stata abbandonata dai più al proprio destino. Al pari della Siria, dove ogni giorno si registrano stragi, i profughi scappano ma nessun pacifista muove un dito davanti ad alcuna ambasciata o consolato siriano. Quello che c'è stato - sporadicissimo rispetto alle manifestazioni cui siamo stati abituati - è stato ben poca cosa. Briciole.

D'accordo - mi si ribatterà - c'erano i referendum. Il nucleare, l'acqua pubblica, il legittimo impedimento. Giusto. Ma di fatto la Libia ormai se la sono dimenticata tutti. A tal punto che non ci si accorge nemmeno che sul sito dell'Aeronautica Militare Italiana non compare da tempo nemmeno una notizia sulle attività dei nostri piloti nei cieli di Tripoli. C'è solo un comunicato che racconta il tipo di armamento usato e sottotitolato "Il potere aerospaziale", quasi si trattasse di un videogioco. La guerra in Libia non compare nemmeno sotto l'elenco delle "Operazioni Internazionali" (ci sono invece Iraq e Afghanistan), come se non si stesse svolgendo. Che fanno i nostri piloti? Bombardano? Come? Dove? Quando? E soprattutto: chi? Tutte domande dimenticate da cittadini e popolo arcobaleno che non pretendono più risposte dalle istituzioni: in Libia stiamo combattendo una guerra ma non ci pensiamo più.

E per elencare altre ipocrisie - internazionali questa volta - l'Occidente dovrebbe intervenire inSiria, in Iran, in Darfur, in Yemen, in Somalia...giusto per citarne alcune. Sarebbero anche queste guerre giuste. L'impressione, invece, è che si sia scelto il più "debole", capace di mettere tutti d'accordo in breve tempo e senza troppe difficoltà.

Per non parlare dei tradimenti: Berlusconi era amico di Gheddafi mentre la campagna elettorale di Sarkozy - il primo a far sganciare le bombe sulla Libia - era stata sovvenzionata proprio dal rais.

Il tutto per tacer dei nostri interessi economici: le solerti bombe francesi hanno di fatto interrotto - o fortemente limitato - le attività petrolifere nostrane nella zona. Non una parola da Berlusconi, non una protesta da Frattini che pure è il Ministro degli Esteri. E gli italiani? Per sollievo del Governo, pare adesso pensino ad altro.

Di Emilio Fabio Torsello – Diritto di critica

sabato 11 giugno 2011

Comitato Pace e Disarmo: Via da Napoli la portaerei "Bush"!

Proprio mentre ci prepariamo a votare sì al referendum per scongiurare il ritorno del nucleare civile in Italia, la minaccia atomica arriva da noi sotto forma di un enorme natante a propulsione nucleare, ancorata da oggi nel golfo di Napoli.

11 giugno 2011 - Comitato Pace e Disarmo

Proprio mentre ci prepariamo a votare sì al referendum per scongiurare il ritorno del nucleare civile in Italia, la minaccia atomica arriva da noi sotto forma di un enorme natante a propulsione nucleare, ancorata da oggi nel golfo di Napoli. Si tratta della portaerei americana “H.W. Bush”, alla guida di un... imponente gruppo navale d’attacco, diretto molto probabilmente verso la Libia. Si tratta d’un gigantesco vascello nucleare - con a bordo 6.000 uomini, 56 aerei e 15 elicotteri – che non è solo una base militare galleggiante, ma anche una vera e propria centrale nucleare, fornita di 2 reattori ad acqua pressurizzata, la cui pericolosità non è inferiore a quelli di Fukushima.
A breve distanza da una città densamente abitata come Napoli, il pericolo atomico si materializza, quindi, sotto forma di micidiale e formidabile concentrato di quel nucleare civile definito ‘buono’ e di quello di fatto ‘cattivo’, visto che ha come obiettivo la distruzione e la contaminazione dei territori nemici. E’ quello che il Comitato Pace Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio della Campania sta denunciando da anni, con appelli, comunicati e manifestazioni di protesta.
Oggi, sabato 11 giugno, gli attivisti del Comitato tornano al Porto – con la tuta bianca simbolo del rischio nucleare – per informare la popolazione della gravità di questa minaccia, contro la quale nessuna autorità è finora intervenuta. Il Comitato ha già diffidato il Sindaco uscente di Napoli per essere stato inadempiente nel ruolo di garante della sicurezza dei cittadini e per non averli neppure informati di questo pericolo, come previsto dalla legge (artt.129 e 130 del D. Lgs. 230/95 (“Obbligo d’informazione” e “Informazione preventiva”). Sarà chiesto un incontro urgente col nuovo Sindaco, Luigi de Magistris, dichiaratosi più volte a favore di una Napoli di pace, smilitarizzata e denuclearizzata, per sollecitare un suo intervento su questa sconcertante vicenda, che ne conferma, invece, il ruolo di avamposto strategico USA e NATO nel Mediterraneo.
Chi entra con una centrale nucleare nel porto di Napoli minaccia anche te.
Digli di smettere !

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venerdì 10 giugno 2011

Santa Margherita Ligure: Confindustria, l'accusa di Morelli "Questa Italia è contro i giovani"

Jacopo Morelli, industriali under 40 La crisi economica non è finita e i giovani sono quelli che più soffrono. Questo è uno dei punti centrali del convegno dei Giovani imprenditori di Confindustria. E’ guardando questa realtà che Jacopo Morelli, neo-presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, ha fatto il suo discorso di apertura. “È tempo di occuparci del futuro dell’Italia. Alziamo la voce sul nostro futuro, che è il futuro del Paese. Non ci arrendiamo e non ci rassegniamo”. Il neo-presidente dei Giovani imprenditori - il suo primo alla guida degli under 40 – ha esortato un cambiamento reale, perché “nulla è più irresponsabile che sprecare una generazione”. Questa Italia è “contro i giovani”: e “continuando a penalizzare le nuove generazioni, sprecando le loro forze e il loro talento, sarà impossibile ottenere una robusta crescita economica”, ha incalzato Morelli.

“Non ci arrendiamo dinanzi ad un Paese che non è, e non sembra voler diventare, un Paese per i giovani”, dice parlando di un’Italia “oggi in ostaggio di egoismi generazionali e di una pervasiva gerontocrazia, antitesi della meritocrazia e pericoloso blocco alla crescita”.

Esponendo le tesi dei Giovani imprenditori, Morelli invita, dunque, le nuove generazioni ad “alzare la testa”. A “liberare le energie dalle catene che le imprigionano per indirizzarle su un progetto di Paese, che torni a crescere”.

“L’Italia - sottolinea - non è un Paese per giovani, ma l’obiettivo è diventarlo”. Ecco perché “il primo passo da fare è sintonizzare la Nazione sulle frequenze di una generazione nata dopo la caduta del muro di Berlino, cresciuta a pane e Internet, che ha esperienze di studio all’estero e va a Londra con 20 euro”.

Secondo Morelli, “stiamo sacrificando sull’altare dei diritti acquisiti, i diritti delle nuove generazioni, che sono: un lavoro meglio remunerato, un’istruzione al passo con i tempi, una prospettiva di crescita personale e professionale. Stiamo difendendo disparità di trattamento, non giustificabili né sul piano etico, né su quello dell’efficienza e della competitività, dimenticando gli equilibri tra le generazioni e lo scambio consapevole dall’una all’altra”.

Ma ai giovani Morelli ricorda che “progettare e costruire il futuro tocca a persone come noi, a tutti i giovani italiani. E ancor più tocca ai Giovani imprenditori, un Movimento che ha la responsabilità e l’orgoglio di essere la leadership di questo Paese».

Con Stampa | Agenzie

L' Economist: “Berlusconi, l'uomo che ha fregato un intero Paese”

Per il settimanale britannico «serve un cambio di governo per la crescita». Otto anni fa «l'inadatto a governare»

MILANO -«The man who screwed an entire country» l' uomo che ha fottuto un intero Paese». L'Economist torna ad attaccare Silvio Berlusconi bocciandone senza appello la politica di governo. Il presidente del Consiglio italiano è tornato in copertina del settimanale britannico in uscita venerdì, a otto anni dal celeberrimo «unfit to lead Italy», inadatto a governare l'Italia, e a cinque dall'altrettanto polemico «E' tempo di licenziarlo». L'occasione di quest'ultima «cover story» è la pubblicazione di uno speciale di 16 pagine sull'Italia realizzato per l'anniversario dei 150 anni. L'analisi di John Prideaux, autore del rapporto, lascia emergere un Paese fermo che paga con la «crescita zero» le mancate riforme. «L'Italia ha tutte le cose che le servono per ripartire, quello che serve è un cambio di governo».

L'EDITORIALE - «Nonostante i suoi successi personali Berlusconi si è rivelato tre volte un disastro come leader nazionale», si legge nell'editoriale. Il primo disastro è la «saga» del bunga bunga e il secondo sono le vicende che hanno premier in Tribunale rispondere di frode, truffa contabile e corruzione. «I suoi difensori - spiega l'Economist - dicono che non è mai stato condannato ma questo non è vero. In molti casi si è arrivati a delle condanne ma queste sono state spazzate via» o per via della decorrenza dei termini o «in almeno due casi perchè Berlusconi stesso ha cambiato la legge a suo favore». «Ma il terzo difetto è di gran lunga il peggiore - continua l'Economist - e questo è il totale disinteresse per la condizione economica del paese. Forse perchè distratto dai suoi problemi legali, in nove anni come primo ministro non è stato in grado di trovare un rimedio o quanto meno di ammettere lo stato di grave debolezza economica dell'Italia. Il risultato è che si lascerà alle spalle un paese in grave difficoltà. La malattia dell'Italia non è quelle di tipo acuto; si tratta piuttosto di una malattia cronica, che pian piano mangia via la vitalità». Se fino ad ora, «grazie alla linea del rigore fiscale imposta dal ministro delle finanze Giulio Tremonti» l'Italia è riuscita e evitare di diventare la nuova vittima della speculazione dei mercati, questo non significa che la linea di credito sia infinita. Un'Italia stagnante e non riformata, con un debito pubblico ancorato attorno al 120% del pil, si ritroverebbe così esposta come il vero problema dell'eurozona. Il colpevole? «Berlusconi, che non ci sono dubbi, continuerebbe a sorridere» conclude l'Economist.

IL RAPPORTO - «Non farò l'errore di predire la fine di Berlusconi - ha detto l'analista incontrando la stampa a Milano - ma arrivando qui, parlando con le persone si inizia a sentire un'aria nuova, la fine di un'era».«L'Italia ha un problema di produttività, ha bisogno di alcune riforme. Se guardiamo agli ultimi dieci anni e più, dimenticando tutti gli scandali, lo scontro con i magistrati, il problema è c'è stato un disastro da un punto di vista economico. Berlusconi è arrivato al potere con l'idea di essere un imprenditore di successo in grado di fare le riforme economiche, ma poi non le ha fatte» e il Paese «ha sprecato» tempo prezioso.

BASSA CRESCITA - Il nostro Paese ha avuto il «più basso tasso di crescita di tutti gli altri Paesi del mondo occidentale. Tra il 2000 e il 2010, il Pil italiano è cresciuto in media dello 0,25% all'anno, una dato allarmante - scrive l'Economist - migliore solo rispetto a quello di Haiti o dello Zimbawe». E nonostante l'Italia «abbia saputo evitare il peggio durante la recente crisi finanziaria globale, non ci sono segnali di una possibile inversione di tendenza».

GERONTOCRAZIA - Nonostante i problemi che appaiono per lo più legati alla fase politica, l'Italia resta un «Paese civilizzato, ricco, senza conflitti». Il «successore di Berlusconi potrebbe introdurre alcuni immediati miglioramenti con poco sforzo» e dovrà sicuramente metter mano alla legislazione sul lavoro «che favorisce gli anziani». L'Italia è afflitta tra le altre cose da una «gerontocrazia istituzionalizzata» che rende difficile ai giovani costruirsi una carriera. Tanto che dobbiamo porci il problema di come «richiamare migliaia di giovani di talento che sono emigrati e potrebbero avere un impatto positivo per il Paese».

Via Corrieredellasera | di Paola Pica

Confindustria/Morelli: L'Italia non è un paese per giovani

Santa Margeherita Ligure, 10 giu.  - L'Italia non è un paese per giovani. È un paese contro i giovani. "É ostaggio di egoismi generazionali e di una pervasiva gerontocrazia antitesi della meritocrazia e pericoloso blocco alla crescita". Questa la critica del presidente dei giovani imprenditori di Confindustria nella sua prima relazione al 41esimo convegno di Santa Margherita Ligure. Aprendo i lavori della due giorni, Morelli ha sottolineato come "continuando a penalizzare le nuove generazioni, sprecando le loro forze e il loro talento, sarà impossibile ottenere una robusta crescita economica indispensabile per garantire un avvenire all'intera nazione".
Confindustria-Morelli-L'Italia non è un paese per giovani
Ma i giovani non si arrendono. "Progettare e costruire il futuro - ha detto - tocca a persone come noi, a tutti i giovani italiani e ancora di più tocca ai giovani imprenditori". E rivolgendosi alla politica il presidente dei giovani industriali ha sottolineato: "a chi dirà che non ci son o risorse rispondiamo che è una scelta della politica decidere su cosa puntare e su cosa investire. Le risorse sono scarse ma questo è il prezzo di miopi decisioni passate: la vergogna delle baby pensioni, la burocrazia inefficiente, gli sprechi, l'assenza di una seria politica energetica".

Per Morelli l'Italia sta sacrificando "sull'altare dei diritti acquisiti, i diritti delle nuove generazioni", tra questi un lavoro meglio remunerato, un'istruzione al passo con i tempi, una prospettiva di crescita professionale e personale. Per questo - ha detto Morelli - occorre "rimuovere questi ostacoli, innovare, interpretare la velocità con cui il mondo cambia: sono interventi da porre al centro dell'agire civile e della politica".

Via | TMNews

mercoledì 8 giugno 2011

Caso Battisti: Corte Suprema brasiliana boccia ricorso dell’Italia

cesare_battisti_libero_in_brasile_lula_ha_deciso_ Roma – Cesare Battisti uscirà presto dal carcere. Questo perché il Tribunale Supremo federale del Brasile ha respinto il ricorso presentato dall'Italia contro la decisione dell'ex presidente brasiliano, Lula da Silva, di negare l'estradizione all'ex terrorista italiano Cesare Battisti. Secondo le agenzie, con 6 voti favorevoli e 3 contrari, i giudici del Tribunale supremo, riuniti in seduta di Consiglio hanno stabilito che la Repubblica dell’Italia non ha la competenza per chiedere alla magistratura indipendente del Brasile di invalidare la decisione dell'ex presidente.

VOTI CONTRARI. A votare contro l'estradizione, in sede del Consiglio, sono stati i giudici Luiz Fux, Carmen Lucia, Ricardo Lewandowsky, Joaquin Barbosa, Carlos Ayres Britto e Marco Aurelio Mello. Secondo costoro, la decisione di Ignacio Lula da Silva "è una questione di sovranità nazionale" e quindi di competenza del potere esecutivo e non di quello giudiziario.

Secondo uno degli avvocati di Battisti, Luis Roberto Barroso, con questo voto si impedisce “una vendetta storica in ritardo. Per difendere gli sconfitti, che hanno perso ma non devono essere perseguitati. Noi abbiamo concesso l’amnistia a uomini che torturavano durante la dittatura, che tiravano dagli aerei vittime innocenti. Noi abbiamo preso la decisione politica di non punire. Il perdono per i nostri e anche per quelli degli altri, Battisti compreso. La decisione di Lula è semplicemente giusta”.

VOTO FAVOREVOLI. A favore del ricorso hanno invece votato Gilmar Mendes, Ellen Gracie e Cezar Peluso. Secondo il giudice Mello la decisione del governo italiano di ricorrere contro Lula "non era adeguata".

ACCORDI INTERNAZIONALI. La Corte intanto continua a discutere sul caso, in particolare si dovrà esaminare se il presidente Lula, con la sua decisione avrebbe o no rispettato il Trattato di estradizione in vigore con l'Italia.

E24 | 08.06.11

lunedì 6 giugno 2011

Censis 2011: Italiani più aggressivi e narcisisti tra antidepressivi e ritocchi plastici

Tra il 2004 e il 2009 le minacce e le ingiurie sono aumentate del 35,3%, le lesioni e le percosse del 26,5%, i reati sessuali sono passati da 4.454 a 5.625 (+26,3%) e gli interventi di chirurgia estetica nel 2010 sono stati 450mila. L'autodifesa, trasgredire e arrivare a compromessi è considerato "lecito"

Italiani più aggressivi e narcisisti tra antidepressivi e ritocchi plastici

ROMA - Il controllo delle pulsioni e il rispetto delle regole in Italia sono in pericolo. E' un momento storico in cui ingiurie e le percosse sono in aumento. Così come il consumo di antidepressivi. Dall'indagine del Censis presentata oggi emerge emerge il senso della relatività delle regole tra gli italiani e il tentativo di legittimare le pulsioni. Oggi il fine che giustifica il mezzo, l'occhio per occhio e il compromesso sono le nuove linee guida sociali. La crisi è evidente. L'indagine antropologica serve a comprendere "il disagio che sta vivendo la società italiana".
A cominciare dall'autoreferenzialità: l'85,5% degli italiani ritiene di essere arbitro unico dei propri comportamenti. E più in generale che le regole possano essere aggirate in molte situazioni. Nel divertimento è ammessa la trasgressione soprattutto dai più giovani (il 44,8%). E, quando è necessario, bisogna difendersi da sè anche con le cattive maniere (il 48,6%, quota che sale al 61,3% tra i residenti nelle grandi città).

Per raggiungere i propri fini bisogna accettare i compromessi secondo il 46,4%. Si può essere buoni cattolici anche senza tener conto della morale della chiesa in materia di sessualità per il 63,5% (dato che sfiora l'80% tra i più giovani). Aumentano le forme di violenza in cui è forte la componente pulsionale della perdita di controllo e dell'aggressività. Tra il 2004 e il 2009 le minacce e le ingiurie sono aumentate del 35,3%, le lesioni e le percosse del 26,5%, i reati sessuali sono passati da 4.454 a 5.625 (+26,3%).


La dimensione più distruttiva delle pulsioni si riscontra nel progressivo crescere delle forme di depressione. Il consumo di antidepressivi è emblematico: le dosi giornaliere sono più che raddoppiate dal 2001 al 2009, passando da 16,2 a 34,7 per 1.000 abitanti (+114,2%).

Se in Italia diminuisce in generale il consumo di sostanze stupefacenti (tra il 2008 e il 2009 i consumatori sono calati del 25,7%, passando da 3,9 milioni a 2,9 milioni circa), la pericolosità sociale del consumo di droghe non sembra diminuire: aumentano infatti le persone prese in carico nei Sert per dipendenza da cocaina (+2,5%). E sono in crescita i giovani consumatori a rischio di bevande alcoliche: dal 2009 al 2010 passano dal 14,9% al 16,6% nella fascia di 18-24 anni.

Gli italiani sono anche tra i maggiori frequentatori dei social network. Dal settembre 2008 al marzo 2011 gli utenti di Facebook sono passati da 1,3 milioni a 19,2 milioni. Ogni utente ci trascorre mediamente 55 minuti al giorno, è membro di 13 gruppi, e ogni mese posta 24 commenti, invia 8 richieste di amicizia, diventa fan di 4 pagine e riceve 3 inviti a eventi.
La dimensione più narcisistica delle pulsioni è legata al bisogno di apparire. Nel 2010 sono stati circa 450.000 gli interventi di chirurgia estetica effettuati in Italia. Anoressia e bulimia sono le prime cause di morte tra le giovani di 12-25 anni, e ne sono colpite circa 200.000 donne. In definitiva per il Censis "siamo una società in cui sono sempre più deboli i riferimenti valoriali e gli ideali comuni, in cui è più fragile la consistenza dei legami e delle relazioni sociali. In questa indeterminatezza diffusa crescono comportamenti spiegabili come l'effetto di una pervasiva sregolazione delle pulsioni, risultato della perdita di molti dei riferimenti normativi che fanno da guida ai comportamenti".

Tratto dalla Repubblica.it | Italiani più aggressivi e narcisisti tra antidepressivi e ritocchi plastici

Libia/Guerra neo-colonial al 6 giugno 2011: La Nato distrugge tutto ciò che trova

La Repubblica

Raid della Nato sulla tv di Stato a Tripoli Rasmussen: "Prepararsi ...

La Repubblica - ‎9 minuti fa‎

La Nato non giocherà "un ruolo primario" nella fase di transizione democratica della Libia, ha spiegato Rasmussen in una conferenza stampa tenuta a Bruxelles. "Penso piuttosto ad un ruolo maggiore per l'Onu, insieme all'Unione europea, ...

Libia, scacco dei ribelli: occupata Yafran Rasmussen: "Tempo di ... Quotidiano.net

Libia: ribelli conquistano Yafran, prima in mano a forze Gheddafi Milano Finanza

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Borsa Italiana

Libia: distrutta da Nato sede parlamento 06-06-2011 - 15:58

Il Secolo XIX - ‎23 minuti fa‎

(ANSA) - TRIPOLI, 6 GIU - La Nato ha distrutto stamani l'edificio del Congresso generale del popolo (Parlamento) libico a Tripoli. L'edificio era già stato danneggiato da un raid circa tre settimane fa. Nello stesso complesso si trova l'ufficio del ...

Libia: edificio Congresso Popolo distrutto Bluewin

LIBIA: AEREI NATO BOMBARDANO TV DI STATO E RESTI PARLAMENTO AGI Mondo ONG

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Libia: Tripoli, caccia Nato colpiscono sede radio e tv di stato ...

Adnkronos/IGN - ‎27 minuti fa‎

Lo ha reso noto una fonte del regime libico di Muammar Gheddafi citata dalla tv in lingua araba 'al-Alam'. Nonostante l'attacco di oggi la tv di Stato libica continua a trasmettere i suoi programmi.

LIBIA: INVIATO RUSSIA DOMANI A BENGASI, MA NON VISITERA' TRIPOLI Agenzia di Stampa Asca

Libia: nuovi raid Nato su Tripoli. Inviato russo incontra i ... DirettaNews.it

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Il Sole 24 Ore

Rasmussen (Nato): bisogna prepararsi al post-Gheddafi

Il Sole 24 Ore - ‎39 minuti fa‎

La Nato non giocherà «un ruolo primario» nella fase di transizione democratica della Libia, ha detto il segretario generale dell'Alleanza Anders Fogh Rasmussen, rilevando che la comunità internazionale deve prepararsi al «post-Gheddafi». ...

Libia: NATO, tempo Gheddafi alla fine, pensare a dopo rais swissinfo.ch

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Libia, la Russia spinge per una soluzione interna

NanoPress - ‎55 minuti fa‎

La Russia teme un intervento a terra delle truppe Nato nella guerra in atto in Libia. La preoccupazione della Russia è stata espressa per bocca del vice primo ministro, Serghei Ivanov, che ha esternato i suoi dubbi circa l'impiego degli elicotteri da ...

fanpage

Il Presidente della Repubblica Napolitano sulla tragedia degli ...

fanpage - ‎47 minuti fa‎

... con forza – moralmente e politicamente – all'indifferenza: oggi, e in concreto, rispetto all'odissea dei profughi africani in Libia, o di quella parte di essi che cerca di raggiungere le coste siciliane come porta della ricca – e accogliente? ...

LIBIA: REGIME MOSTRA BIMBA COLPITA DA RAID NATO, MA E' UN FALSO

Agenzia di Stampa Asca - ‎56 minuti fa‎

(ASCA) - Roma, 6 giu - Cadono i tentativi di propaganda del regime libico. Secondo il quotidiano britannico The Guardian, nella notte funzionari di Muammar Gheddafi avrebbero raccolto in un bus diversi giornalisti a Tripoli mostrando loro una bambina ...

Agedabia (Libia) 15:24 LIBIA: MISSILI LEALISTI SU AGEDABIA

La Repubblica - ‎47 minuti fa‎

Le forze governative sono tornate oggi a bombardare Agedabia, strategica roccaforte dei ribelli libici in Cirenaica e loro estrema difesa in vista di Bengasi, 'capitale' dell'insurrezione: lo ha riferito un portavoce dell'opposizione, Ahmed Bani, ...

Cina: contatti con il Consiglio nazionale di transizione della Libia

Radio Cina Internazionale - ‎53 minuti fa‎

Il 6 giugno il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hong Lei, ha detto che di recente i diplomatici dell'ambasciata cinese in Egitto hanno avuto dei contatti con il responsabile del Consiglio nazionale di transizionelibico. ...

Obama, le elezioni e il futuro incerto dell'America

Giornale di Sicilia - ‎39 minuti fa‎

Il Congresso ha deciso di mettere in mora il presidente perché sta proseguendo l'operazione Libia oltre i sessanta giorni consentiti senza un man